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Buona
Cronaca, News
28 Febbraio 2019

Buona Settimana di Marco Raccagna: “La Jacuzia non è solo uno stato del Risiko”

Siamo così certi che sia bene che lo studio della Geografia sia confinato alle superiori nei soli tecnici con indirizzo turistico e nel biennio, come se lo studio delle caratteristiche sociali, economiche e culturali delle differenti zone del nostro pianeta dovesse interessare solamente coloro che lavoreranno con i vacanzieri da un lato e, dall’altro, solo i ragazzi fino all’età dell’obbligo scolastico, perché chi prosegue gli studi avrà «ben altro» di più importante da studiare?

Lo studio dei confini e di come si sono formati, le trasformazioni del territorio e climatiche, i grandi spostamenti migratori, i legami economici tra i diversi stati e continenti. Il saper collocare su un mappamondo i luoghi, le lingue, i tratti somatici. Tutto ciò è sempre più difficile già di suo, ma sta diventando impossibile per i giovani. E insieme a ciò, diventa sempre più frettolosa e superficiale la comprensione dell’altro, inteso sia come luogo diverso da quello in cui viviamo, sia come essere umano che parla un’altra lingua o ha un altro colore della pelle. Non bastano infatti le nostre teste piegate su un telefonino e Google maps (che – sia chiaro – è fantastico come navigatore) per scoprire le particolarità di un luogo. Come non bastano la propaganda politica e le frammentarie notizie «pilotate» di molta informazione per essere consapevoli delle relazioni che intercorrono per esempio tra l’Africa e l’Europa. Non voglio certo giungere agli eccessi ai quali arrivava la mia insegnante delle elementari, che faceva imparare a memoria e disegnare a me e ai miei compagni di classe tutti i fiumi, i monti, le città, i laghi, i mari, eccetera, di ogni regione italiana ed europea, ma forse sapere dove sono per davvero serve ancora.

E se la geografia annaspa, la storia non sta benissimo. Da quest’anno niente tema di storia alla maturità. D’altra parte, nelle università italiane, i docenti di Storia sono diventati una «riserva indiana»: in 15 anni da 1.070 a 754. Anche in questo caso poniamoci la domanda: siamo così certi che una marginalizzazione dello studio della storia sia utile ad una crescita consapevole dei nostri ragazzi e dell’intero paese? Io credo sia un po’ più complicato e sostanziale il problema e che sia da affrontare senza scorciatoie e senza guardare con malinconia al passato. Lo studio della storia andrebbe infatti attualizzato. Modi, metodo, strumenti e temi di questo studio andrebbero, e di molto, modificati e resi fruibili ai giovani di oggi.

Chi guarda ogni giorno Netflix o usa lo smartphone per arrivare a notizie ed immagini in un secondo, non può sopportare lezioni faticose e concentrate sull’Italia. E quindi servirebbe un grande sforzo di innovazione didattica per rendere affascinante lo studio della storia. Ma contemporaneamente bisognerebbe che la storia riacquistasse un ruolo sociale e culturale. Il dibattito pubblico e familiare di oggi infatti non necessita di verità storica, ma di emozioni e quindi di una storia sempre relativa, pronta ad essere piegata alle esigenze del momento. La storia al contrario dovrebbe, tra le altre cose, servire a formulare consapevolmente un giudizio o almeno ad interpretare il presente, quando non addirittura ad immaginare il futuro.Troppi se, probabilmente.

D’altra parte pulluliamo di docenti universitari e di laureati in Economia ed Ingegneria in tutte le loro variabili. E giustamente, perché il mercato del lavoro e la crescita dell’Italia dipendono anche da questo. Ho tuttavia l’impressione che formare ottimi tecnici che trovano lavoro e pochi cittadini consapevoli non porti del tutto bene. Siamo allora certi che non sia possibile nel mondo d’oggi fare entrambe le cose? E siamo certi che al ministero dell’Istruzione sappiano che la Jacuzia non è solo uno stato del Risiko ma esiste davvero?

Buona settimana.

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