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Cronaca 17 Gennaio 2020

A Montecatone arriva l' «esoscheletro antropomorfo» per aiutare a camminare le persone con lesione spinale

Migliorare le abilità motorie delle persone con lesioni spinali, garantendo loro una qualità di vita sempre più elevata. Il tutto grazie a un «esoscheletro antropomorfo», un dispositivo molto tecnologico messo a punto per aiutare i pazienti a camminare. E’ questo il senso del progetto di ricerca, promosso e coordinato dall’Istituto di Scienze neurologiche di Bologna e in partenza proprio nel 2020, al quale il Montecatone Rehabilitation Institute partecipa come principale centro di sperimentazione quantitativa. Il progetto è finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito del bando Ricerca finalizzata 2018 e rientra nella sempre più stretta collaborazione tra l’istituto bolognese e Montecatone, che in futuro potenzierà la condivisione di competenze ed attività nell’ambito di neurologia e neuroriabilitazione.

Al momento è stata già attestata la sicurezza dell’esoscheletro, mentre sono in corso altri filoni di ricerca mirati a valutare la capacità funzionale dell’apparecchio a migliorare il cammino e le abilità motorie in generale e gli effetti sul sistema nervoso centrale. Lo studio servirà dunque anche a comparare la riabilitazione classica del cammino con e senza il dispositivo.In dettaglio, l’esoscheletro permette alle persone con lesione spinale, con il controllo medico e la guida di un fisioterapista esperto, di mantenersi in posizione eretta e di muoversi correttamente sul suolo, gestendo autonomamente il peso corporeo aiutandosi con le braccia con un appoggio mobile. L’apparecchio consente di muovere le gambe attraverso motori a batteria ricaricabile che sostituiscono le funzioni neuromuscolari, mentre la camminata si ottiene attraverso sensori che rilevano il peso spostato e innescano i passi.

L’intero sistema è poi controllato da una centralina computerizzata che si trova, con le batterie, all’interno di uno zaino portato sul dorso dal paziente. Un controller portatile munito di display, collegato via cavo all’esoscheletro, controlla la programmazione e il monitoraggio dei parametri. Grazie all’apparecchio, la persona può muoversi in sicurezza già durante le prime sessioni, con una programmazione graduale che aiuta nella progressione dell’apprendimento, anche se il fisioterapista dovrà sempre assisterla durante la seduta riabilitativa. Per quanto riguarda, infine, le modalità e i tempi della sperimentazione, la sua fase operativa durerà 18 mesi e vi parteciperà una quarantina di persone. (r.cr.)

Nelle foto l”esoscheletro e una persona che cammina con l”aiuto del dispositivo

A Montecatone arriva l' «esoscheletro antropomorfo» per aiutare a camminare le persone con lesione spinale
Cronaca 30 Marzo 2018

L’ex ciclista Fabiano Fontanelli racconta la sua battaglia contro il Parkinson

«La bicicletta? Ho già cominciato ad allenarmi sui rulli e tra un mesetto…». Mentre lo dice Fabiano Fontanelli si illumina tutto. E’ seduto sul divano di casa e si sta godendo quella che chiama la sua «nuova vita». Fontanelli è conosciuto per essere stato un grande del ciclismo, con 37 vittorie in carriera comprese quattro tappe del Giro d’Italia e sei stagioni nella Mercatone Uno dell’allora capitano Marco Pantani, ha diviso trofei e imprese con altri campioni come Bettini, Bartoli e Bugno. A 53 anni non ancora compiuti è malato da tempo di Parkinson e un mese fa, il 20 febbraio, gli hanno inserito due elettrodi nel cranio e una specie di pacemaker sottocute all’altezza della clavicola destra, per l’esattezza un’apparecchiatura per la stimolazione cerebrale profonda o deep brain stimulation (dbs). «Sono il primo ad Imola ad aver fatto questo tipo di operazione, in tutto il mondo siamo circa 70 mila». E’ seguito da Pietro Cortelli, responsabile del Programma Parkinson presso l’Istituto delle scienze neurologiche di Bologna, la struttura che ha riunito Bellaria e Clinica neurologica dell’università in un Irccs d’eccellenza riconosciuto dal Ministero; l’intervento di Fontanelli è stato fatto proprio a Bologna dallo staff del neurochirurgo Mino Zucchelli, Stefania Nassetti lo segue dal punto di vista biomeccanico.  

«Voglio raccontare a tutti la mia esperienza per trasmettere un po’ di coraggio agli altri malati, per dirgli che bisogna combattere ogni giorno e non lasciarsi andare. Finché ce la fai devi fare tutto quello che vuoi» dice. 

Cominciamo dalla malattia. Quando ha scoperto di avere il Parkinson?
«A 39 anni, avevo lasciato il professionismo a 38. Ma probabilmente l’avevo da tempo perché i neuroni cominciano a “morire” due o tre anni prima che si manifestino i sintomi». 

Il Parkinson l’associamo ai tremori incontrollabili, ma la sua sintomatologia è stata diversa.
«Dormivo male, avevo un po’ di depressione e i crampi. All’inizio non ci ho dato peso perché i crampi li avevo anche prima e la depressione poteva essere normale per un atleta che aveva appena finito la carriera. Poi un giorno mentre camminavo mi sono accorto che il braccio sinistro rimaneva immobile lungo il fianco. A quel punto sono andato da un neurologo di Solarolo che conoscevo perché era stato il medico di mio nonno, che ha avuto la stessa malattia. Non appena mi ha visto ha detto “hai una sindrome extrapiramidale”, io l’ho guardato perplesso e lui “è un modo elegante per dire che hai il Parkinson”. Mi è crollato il mondo addosso». 

Cos’è successo dopo la diagnosi?
«Dal punto di vista fisico per i primi quattro-cinque anni non avevo particolari problemi, ho continuato a lavorare, ero direttore sportivo per la Reda, seguivo le corse. Prendevo il Levodopa, il farmaco tipico dei parkinsoniani, però ero giù di morale perché sapevo che si trattava di una malattia degenerativa che sarebbe peggiorata». 

Infatti i sintomi sono peggiorati.
«Non muovevo le braccia e camminavo male, ad un certo punto sono cominciate le distonie, sono come delle contratture improvvise. Mi facevano torcere dal dolore. Mi prendevano in pizzeria oppure al centro commerciale, dovevo stare fermo delle ore oppure mio suocero e mia moglie mi dovevano muovere sul letto, in continuazione. E non riuscivano a trovare una soluzione: se prendevo troppa medicina mi venivano, se ne prendevo troppo poca mi venivano… A quel punto Cortelli, il neurologo che mi aveva consigliato l’amico solarolese, mi ha prescritto un altro farmaco, in sostanza un ansiolitico e le distonie sono quasi scomparse. A quel punto ho ripreso coraggio e pure ad andare in bici, tanto che ho buttato già venti chili e andavo talmente bene che competevo con i cicloamatori. Mia moglie e la suocera erano preoccupate perché ogni tanto cadevo, inciampavo quando camminavo, ma in bici stavo bene, avevo meno problemi. Una volta al mese mi “bloccavo” però era accettabile, prima mi capitava tre volte a settimana. Così sono andato avanti per altri 4-5 anni. Poi la malattia è peggiorata ancora, quattro mesi fa ero arrivato ad una compressa ogni 45 minuti, avevo un quarto d’ora buono e mezzora cattiva, alla sera non dormivo quasi più. Non parlavo. Mi sono nuovamente demoralizzato. Ho smesso di andare in bici. Non ce la facevo più. Allora il medico mi ha proposto l’intervento». 

Il dbs è un”operazione ancora sperimentale?
«No, ormai la fanno da vent’anni, però non tutti sono compatibili e molti hanno paura: parliamo di circa 8 ore di intervento di cui 5 e mezzo da sveglio. A Bologna ne fanno uno o due al mese da due anni. C’è un rischio del 3-4% che non abbia successo, sia da ripetere oppure provochi danni».  

Non ha avuto paura? La sua famiglia?
«Mai avuta, mi sono detto posso solo migliorare. E mia moglie e mio figlio mi hanno sostenuto». 

Adesso come va?
«Nei giorni scorsi mi sentivo un po’ “accelerato” avevo delle discinesie dei movimenti involontari del viso, abbiamo tarato il pacemaker ora sono a 2,5 e si può salire al massimo a 5. So che un 15-20 per cento dei malati riesce a fare a meno dei medicinali e il mio obiettivo è quello. So che sarà difficile, intanto sono sceso a 600 milligrammi di farmaco al giorno mentre prima ero a 2000. Devo avere pazienza e calare ancora di peso perché così farò meno fatica a muovermi e la medicina riuscirà a fare più effetto. Ma il morale è alto. Mi sento di avere una nuova vita, posso fare tutto, la sauna, andare in bici, prendere il sole. Voglio viaggiare e sciare, non ci vado da due anni. Il giorno dopo il rientro dall’ospedale ero già al bar a fare un giro. Soprattutto vorrei riuscire a trasmettere coraggio alle persone che si ammalano». 

Cosa vuol dire ai malati di Parkinson?
«Che non si devono demoralizzare, scelgano il trattamento che preferiscono ma devono combattere. Alcuni si vergognano, ma non ha senso perché se ti ammali non è colpa tua. Io non ho mai nascosto la malattia e so che peggiorerò ancora, ma adesso mi godo questi momenti e vivo alla giornata. Mi sto organizzando con il neurologo del Bellaria per sensibilizzare le persone e raccogliere fondi per la ricerca, probabilmente organizzeremo delle cene e aste di beneficenza con alcuni cimeli del ciclismo».

L”articolo completo e altri particolari sulla malattia e i servizi a diposizione sul territorio dell”Azienda usl di Imola sul “sabato sera” del 29 marzo 2018.

l.a.

Nella foto Fabiano Fontanelli in bicicletta dopo l”intervento

L’ex ciclista Fabiano Fontanelli racconta la sua battaglia contro il Parkinson

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