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Economia 11 Febbraio 2021

Nuova casa online per l’ortofrutta europea, Apo Conerpo lancia il portale di «In&Out»

Raccontare le caratteristiche che rendono uniche le filiere ortofrutticole europee riunite nelle Organizzazioni di produttori e mostrare l’impegno quotidiano per portare sulle tavole di tutto il continente frutta e verdura sana, buona e sostenibile. Ma anche mostrare i prodotti più rappresentativi, evidenziandone i valori nutrizionali e proponendo ricette gustose per valorizzarne al meglio le caratteristiche organolettiche. Tutto questo è racchiuso nel portale www.ineout.eu, la “casa” digitale dell’ortofrutta europea sviluppata da Apo Conerpo nell’ambito di «In&Out», progetto cofinanziato dalla Comunità Europea. Tra i soci di Conerpo, consorzio molto grande con 50 coop socie che fanno capo a 6 mila agricoltori e ha 92 strutture di lavorazione in tutta Italia,  c”è l’Agrisanterno di Casalfiumanese ed Agrintesa di Faenza, quest’ultima con uno stabilimento anche a Mordano.

«Quante calorie fornisce una pera? Di quali vitamine è ricco il kiwi? Perché dovrei preferire un frutto o un ortaggio prodotto in Italia o in Europa? È vero che i produttori ortofrutticoli abusano dei pesticidi e dell’acqua o è una diceria senza fondamento? A queste e a tante altre domande abbiamo cercato di dare una risposta nel sito – spiega il presidente di Apo Conerpo, Davide Vernocchi -. Le diverse sezioni che lo compongono descrivono l’impegno quotidiano delle Organizzazioni di Produttori per una produzione ortofrutticola di qualità, organoletticamente eccellente, salubre per il consumatore e coltivata in modo sostenibile per l’ambiente e per le persone. Da più di 20 anni Apo Conerpo utilizza il modello della produzione integrata, un insieme di pratiche agronomiche che consente di ridurre e razionalizzare l’impiego di mezzi chimici, applicare metodi a basso impatto ambientale e al contempo ottenere prodotti di elevata qualità. La nostra sfida, negli anni, è stata quella di conciliare un’agricoltura tra le più intensamente produttive d’Europa con la salvaguardia dell’ambiente e la salute dei consumatori».

Contestualmente al lancio del sito web, che sarà fruibile in diverse lingue per intercettare i consumatori dei Paesi coinvolti dal progetto In&Out, hanno preso il via anche le pagine social legate all’iniziativa: «Fra i nostri obiettivi – conclude Vernocchi – c’è anche quello di demolire l’immagine spesso diffusa nell’opinione pubblica di un agricoltore orientato solo al profitto, nemico dell’ambiente che abusa della chimica, spreca risorse preziose e impoverisce il suolo. I canali social, sempre più rilevanti nella formazione delle opinioni dei consumatori, ci aiuteranno a vincere anche questa importante sfida comunicativa». (da.be.)

    

Nuova casa online per l’ortofrutta europea, Apo Conerpo lancia il portale di «In&Out»
Economia 23 Novembre 2020

La cooperativa Terremerse svolgerà l’attività di Organizzazione di Produttori per il settore ortofrutta

Si annuncia un 2021 importante per Terremerse, nonostante l’eemergenza sanitaria costringerà la Cooperativa ad affrontare spese impreviste e a investire considerevoli risorse per poter svolgere le proprie attività nel rispetto di quanto previsto dalle norme anti Covid-19.

Tra le novità, una delle più rilevanti, è sicuramente quella che dal 1° gennaio 2021 Terremerse svolgerà l’attività di Organizzazione di Produttori (O.P.) per il settore Ortofrutta. Infatti, nel corso di quest’anno si è positivamente concluso il percorso di fusione per incorporazione della O.P. Pempacorer. Terremerse, che nel 2020 ha già ottenuto il riconoscimento di Organizzazione di Produttori ortofrutticoli per il prodotto da industria da parte della Regione Emilia-Romagna, dal 2021 si occuperà della commercializzazione e della gestione dei Piani Operativi per conto dei soci anche per il prodotto fresco, integrando nella propria struttura multifiliera la Sezione O.P. Ortofrutta.  Per effetto di questa e di altre operazioni virtuose il fatturato della sola Terremerse raggiungerà i 200 milioni di euro (dagli attuali 150), mentre quello del gruppo (di cui fanno parte le società controllate Semìa e Terremerse Nord Est) si attesterà attorno ai 220 milioni. «Terremerse è divenuta un’azienda multifiliera (agroforniture, cereali, ortofrutta, carni) con una propria sezione O.P. Ortofrutta, unica in Italia per dimensioni e caratteristiche. Ciò consentirà a Terremerse anche di allargare la propria azione su territori sui quali a oggi non opera, creando pertanto un volano allo sviluppo delle attività caratteristiche della Cooperativa, in particolare la vendita delle agroforniture, la raccolta dei cereali o la commercializzazione delle orticole», sottolinea Emilio Sabatini, direttore generale Terremerse.

Altra rilevante novità, avviata sul finire di quest’anno è la nascita di una nuova filiera. Terremerse, infatti, ha avviato un importante progetto sul nocciolo per la messa a dimora di 600 ettari in 5 anni nelle regioni in cui la Cooperativa è più presente: Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria. «Il Progetto Nocciolo e la volontà di diventare attore importante di una filiera di qualità al 100% italiana, si inserisce a pieno titolo negli orientamenti strategici di Terremerse, volti a indirizzare propri soci verso le migliori scelte produttive e ottimizzare i propri servizi agronomici. Inoltre, tale iniziativa è coerente con la struttura organizzativa che la Cooperativa si è data attraverso la costituzione della Sezione O.P. Ortofrutta, rientrando tra l’altro il nocciolo nelle valorizzazioni previste dall’O.C.M. per la rendicontazione di spese e investimenti» spiega il presidente Marco Casalini. (da.be.)

Nella foto: la sede di Terremerse e Pempacorer e della nuova O.P.

La cooperativa Terremerse svolgerà l’attività di Organizzazione di Produttori per il settore ortofrutta
Economia 4 Giugno 2019

Il fragolone di Imola: ascesa, boom e declino della coltivazione di questo frutto e la Sagra che gli era dedicata

I fragoloni di Imola erano quelli belli, rossi e dolci. Quelli che oggi non ci sono quasi più. La loro storia inizia dalla terra dei «cento orti» – quelli ricordati nel 1902 dal poeta e scrittore Luigi Orsini – dove gli agricoltori imolesi coltivavano soprattutto fragole che, per la loro grossezza, venivano appunto chiamati fragoloni. Oggigiorno – secondo una recente ricerca – nell’imolese sono ancora amorevolmente coltivati su appena 6 ettari di terreno lungo via Canale, via Cipolla e nella zona di San Prospero.

La loro coltivazione, secondo alcuni, ebbe inizio a Imola verso la fine dell’Ottocento grazie all’agronomo Ugo Mazzoni, che introdusse le prime piantine nelle colline di Montecatone. Altri documenti affermano che furono i discendenti di quegli ortolani che nel 1931 andarono in Francia, ritornando con tre sporte di rafia piene di piantine di fragole utili a dare inizio ad una coltivazione che avrebbe preso poi uno sviluppo tale da fare dell’imolese il secondo grande centro nazionale di produzione, dopo il Veneto.

Il fragolone si diffuse negli anni Quaranta soprattutto negli orti a sud della via Emilia, dove si ricavavano i frutti più saporiti e più resistenti al trasporto. A Imola come nel resto dell’Emilia Romagna, tale coltura si affermò a partire soprattutto dagli anni Cinquanta. La fragola assunse così carattere di coltura industriale, in particolare nelle zone di Mordano fino a Spazzate Sassatelli, nelle valli del Santerno, del Sellustra, del Sillaro e quindi nei comuni di Imola, Dozza, Casalfiumanese, Borgo Tossignano e Castel del Rio, fino a 400 metri di altitudine. Inizialmente i fragoleti si svilupparono accanto al pesco, all’albicocco e al vigneto e la loro diffusione divenne rapidamente una delle voci principali dei bilanci aziendali dei poderi collinari, meritando la qualifica di «pianta colonizzatrice della collina imolese».

E proprio per reclamizzare e valorizzare sempre più uno dei più ricercati prodotti della frutticoltura imolese, un comitato cittadino organizzò la prima edizione della Sagra del Fragolone per domenica 8 giugno 1958, nel parco delle Acque minerali. Tale manifestazione proseguì almeno fino al 1985. (al.gi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 30 maggio

Nella foto un”immagine della Sagra del Fragolone negli anni Sessanta

Il fragolone di Imola: ascesa, boom e declino della coltivazione di questo frutto e la Sagra che gli era dedicata
Economia 13 Febbraio 2019

Alla scoperta del cardo, delle sue varietà e dei produttori che lo coltivano da Ponticelli a Ozzano Emilia

Gobbi e salsiccia ma, in mancanza di carne ricca, si potevano anche cuocere semplicemente in umido, come raccomandava già nel 1891 il gastronomo Pellegrino Artusi nel suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Il cardo era uno dei pochi prodotti invernali dell’orto e tipici di una civiltà contadina di inizio secolo, che cucinava in modo semplice e povero. Oggi questo prodotto ha meno successo. «Non è di consumo immediato – dice Michael Ferri, che a Ponticelli si prende cura di circa 100 quintali di cardi gobbi bianchi, soprattutto della varietà Gigante di Romagna -. Non è pratico perché deve essere lavorato, pulito e poi cucinato. La società è cambiata, non ha più tempo per certe cose».

Ma Michael ci crede e la sua produzione, grazie soprattutto alla vendita a filiera corta nei mercatini, finisce velocemente. «Nella vallata del Santerno siamo ormai gli unici – prosegue Ferri -. Iniziamo la raccolta a metà ottobre, poi andiamo avanti fino a febbraio. E’ il contorno di stagione. La quantità è in linea con lo scorso anno, anzi prevedo un 10-15 per cento in più, mentre il processo produttivo è leggermente ostacolato da bizzarrie climatiche, troppo caldo. Il gelo è fondamentale, dopo una gelata, infatti, la consistenza del cardo diventa migliore e più tenera. Il clima sta cambiando. La qualità comunque è ottima».

Lavoro in cucina e lavoro nei campi. «Occorre molta manodopera, i costi di produzione sono alti, c’è difficoltà di meccanizzazione nella maggior parte della lavorazione». Ma, nonostante questo, Ferri e la sua famiglia vanno avanti. «E’ anche una questione culturale». Una coltura di nicchia, insomma, prodotta e consumata localmente. «E’ tutta una questione di trovare la varietà giusta, con la giusta tecnica di produzione – spiega l’esperto di agricoltura biologica, ambiente ed agrobiodiversità, Stefano Tellarini – e in Emilia Romagna la varietà adatta è il cardo gigante di Romagna, coltivato con il sistema dell’interramento, che fa diventare il gambo bianco e lo rende più tenero e dolce. Una tipologia che ha fatto la sua comparsa ufficiale intorno agli anni Cinquanta». Ma noi siamo terra di confine e sulle nostre tavole arriva anche il cardo di fossa bolognese, un’altra storica produzione a consumo invernale delle campagne vicine che veniva consumato fresco in pinzimonio. Una coltura in pericolo di estinzione, visto che ormai sono in pochissimi a portarla avanti. Tra questi, l’ozzanese Mauro Gualandi, titolare dell’omonima azienda agricola, fondata oltre un secolo fa dal bisnonno Giovanni. «Per noi ormai è una tradizione di famiglia – ci spiega -. Ogni anno trapianto circa 4.500 cardi, della varietà bolognese Centofoglie. Quest’anno la produzione è stata ritardata dal fatto che a novembre, quando era il momento di mettere le piante in trincea, pioveva sempre».

La trincea in questione è una fossa di circa 80 centimetri di profondità, dove i fusti vengono collocati in verticale e coperti con un telo nero, per proteggerli dalla luce e dal freddo; in questo modo possono vegetare fino a metà febbraio. Una pratica d’altri tempi. Proprio per sensibilizzare sulla tutela e sul recupero di uno dei prodotti agricoli che hanno contribuito a impreziosire la biodiversità emiliana, la Fondazione bolognese Fico per l’educazione alimentare e alla sostenibilità ha recentemente organizzato a Bologna nello Spazio 118 Eataly World di via Paolo Canali 8, una mostra fotografica dal titolo Archeologia orticola: il salvataggio del cardo di fossa bolognese, visitabile fino al 20 febbraio. Far vedere le fasi di lavorazione, dalla selezione dei semi, che veniva direttamente curata dai contadini, alla vendita dei prodotti può invogliare, perché no, anche il suo consumo. (al.gi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 7 febbraio

Nella foto il cardo romagnolo

Alla scoperta del cardo, delle sue varietà e dei produttori che lo coltivano da Ponticelli a Ozzano Emilia
Economia 29 Gennaio 2019

Cimice asiatica, due bandi in Regione da 2,7 milioni di euro a favore delle aziende agricole per azioni a difesa dei frutteti

L’Emilia Romagna intensifica la lotta alla Halyomorpha halys, meglio conosciuta come cimice asiatica (proviene dalla Cina), insetto in grado di provocare gravi danni agli alberi da frutto (in particolare pero, kiwi, melo e pesco), tanto da costituire una grave minaccia per l’intero settore produttivo frutticolo. Attraverso un bando che resterà aperto dal 10 gennaio al 15 marzo, la Regione investe oltre 2,7 milioni di euro per azioni di prevenzione.

«Questo nuovo bando del Programma di sviluppo rurale 2014-2020 è stato predisposto raccogliendo anche i suggerimenti e le esigenze espresse dagli agricoltori e dalle associazioni di categoria, legati alle caratteristiche delle aziende emiliano-romagnole anche per consentire l’accesso a realtà di dimensioni ridotte», spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Simona Caselli. In particolare si punta ad estendere la protezione degli impianti frutticoli tramite la chiusura laterale, con reti antinsetto, delle coperture antigrandine già esistenti. Modalità che ad oggi risulta essere il mezzo di prevenzione più indicato. «E’ un altro importante tassello che mettiamo in campo per limitare i danni provocati dalla cimice asiatica, cercando di salvaguardare gli equilibri biologici dei diversi agroecosistemi del nostro territorio», aggiunge l’assessore regionale.

I fondi sono destinati alle imprese agricole, che dovranno attuare un piano d’investimenti della durata massima di 12 mesi dalla data dell’atto di concessione del sostegno. Le spese ammesse, da un minimo di 2.500 euro a un massimo di 250 mila euro e finanziate al 50% dai fondi Psr, sono per l’acquisto e messa in opera di reti antinsetto (compresi i dispositivi di apertura/chiusura meccanizzata/automatizzata per l’accesso) esclusivamente a completamento di impianti di copertura esistenti e per l’acquisto e messa in opera di reti antinsetto monofila. Sono inoltre accettate le spese tecniche generali, come onorari di professionisti o consulenti, nel limite del 3% dell’importo ammissibile.

I criteri di priorità delle domande riguardano: il rapporto tra la superficie a frutteto oggetto di investimento e la superficie aziendale totale a frutteto; il grado di rischio di diffusione dell’infestazione, con maggiore punteggio alle aree ad alto rischio (pianura del reggiano, modenese, bolognese, ferrarese, ravennate e di Forlì-Cesena) e alla diversa suscettibilità delle specie frutticole. Ulteriori incrementi di punteggio sono destinati alle domande di superfici frutticole a produzione integrata (incremento del 30%) oppure già a coltivazione biologica o in regime di conversione (incremento del 100%). Le domande – come detto – potranno essere presentate dal 10 gennaio e fino alle ore 13 del 15 marzo, sulla piattaforma Siag di Agrea, l’Agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura (https://agreagestione.regione.emilia-romagna.it/siag/). Entro il 14 giugno i servizi territoriali competenti invieranno le domande al Servizio competitività delle imprese agricole ed agroalimentari, per la graduatoria generale che verrà emanata entro il 20 giugno 2019. (r.eco.)

L”immagine è tratta dal sito della Regione Emilia-Romagna

Cimice asiatica, due bandi in Regione da 2,7 milioni di euro a favore delle aziende agricole per azioni a difesa dei frutteti
Economia 28 Agosto 2018

E' tempo di vendemmia in Emilia Romagna: bene quantità e qualità, per gli addetti ecco i voucher

Buone prospettive per la vendemmia 2018 che, come avviene da qualche anno, parte con una decina di giorni di anticipo. Lo dice Coldiretti Emilia Romagna, che prevede per questa stagione il ritorno alla normalità produttiva, dopo il calo del 23% registrato nel 2017 a causa della situazione climatica.

“La produzione – sottolineano dall”associazione – dovrebbe tornare a circa 7 milioni di quintali, con una qualità di ottimo livello, grazie anche al sole che ha caratterizzato le ultime settimane di maturazione”.

Inoltre, per l”organizzazione della raccolta i produttori possono contare sul ritorno dei voucher, uno strumento agile e flessibile, che semplifica l”assunzione di manodopera per periodi limitati.

La Coldiretti regionale fa poi il punto sulle diverse varietà di uva: “È già avanti la vendemmia delle uve destinate alla spumantizzazione (Pinot, Chardonnay, Moscato) ed è pronta al via la raccolta dei vini bianchi classici: Albana, Trebbiano, Pignoletto, Ortrugo, Malvasia, per ricordare i più importanti. Nella prima decade di settembre inizierà inoltre la vendemmia delle uve per i vini rossi, dal Sangiovese al Gutturnio, dal Lambrusco al Merlot, fino al Cabernet che chiude la vendemmia”.

Proseguendo con le previsioni, la maggior crescita a livello quantitativo è attesa in Romagna, ad eccezione delle aziende che hanno subito grandinate tra fine giugno e inizio luglio.  Qui la produzione è in aumento su tutte le varietà di vino, mentre nel bolognese crescono i bianchi e risultano in leggero calo i rossi.

L”alta qualità delle uve è inoltre la base essenziale per ottimi vini. Coldiretti sottolinea che poco meno della metà dei vini della regione, vale a dire una percentuale del 48,9%, è destinata alla produzione di vini Doc (21,4%) e Igt (27,5%), mentre la restante percentuale (51,1%) contempla vini da tavola e vini varietali.

In totale i vini Doc sono 18, quelli Igt 9, mentre due, Albana di Romagna e Pignoletto classico dei Colli bolognesi, sono i vini che si avvalgono della denominazione di origine controllata e garantita (Docg).

Per completare il panorama dei numeri, l”associazione ricorda che “in Emilia Romagna ci sono 51 mila ettari di vigneto, coltivati da 19 mila aziende, più di un terzo delle quali (35%) vende direttamente al consumatore. Quella della vendita diretta del vino è una tendenza in continuo aumento negli ultimi anni anche come risposta alle richieste dei consumatori di conoscere personalmente il produttore, scoprire le caratteristiche del prodotto e visitare il territorio di origine”.

“Il comparto vitivinicolo in Emilia Romagna – conclude Coldiretti regionale – rappresenta oltre il 6% della Plv regionale, dà lavoro a 150 mila addetti e nel 2017 ha contribuito alle esportazioni per un valore di oltre 320 milioni di euro”.

E' tempo di vendemmia in Emilia Romagna: bene quantità e qualità, per gli addetti ecco i voucher

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