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Economia 22 Maggio 2019

Clima pazzo, l'allarme della Coldiretti regionale: «A rischio tutta la produzione di miele del 2019».

Brutte notizie dalla Coldiretti Emilia Romagna riguardo all”apicoltura. L”associazione agricola annuncia che a causa del clima pazzo (marzo siccitoso, aprile e maggio trascorsi tra vento, pioggia e sbalzi termici) è persa la produzione di miele di acacia, poiché le condizioni meteo non hanno consentito alle api neanche di trovare nettare sufficiente da portare nell’alveare. E questa situazione metterebbe addirittura a rischio l’intera produzione di miele dell’Emilia Romagna per il 2019.

L’allarme della Coldiretti regionale sugli effetti del maltempo ha praticamente rovinato la giornata mondiale delle api, istituita dall”Onu nel 2018 e celebratasi il 20 maggio a livello planetario. «La pazza primavera – sottolinea l”associazione – ha creato gravi problemi agli alveari con il maltempo che ha compromesso molte fioriture e le api che non hanno la possibilità di raccogliere il nettare. Il poco miele che sono riuscite a produrre se lo mangiano per sopravvivere. La sofferenza delle api è uno degli effetti dei cambiamenti climatici in atto che sconvolgono la natura e si manifestano con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo».

Secondo i dati forniti da Coldiretti, la produzione di miele dell’Emilia Romagna l”anno scorso è stata di 1.440 tonnellate, con un incremento del 20% rispetto all’annata precedente che aveva risentito della straordinaria siccità del 2017. Nel 2018 rilevanti sono state le importazioni dall’estero, in aumento del 18% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà di tutto il miele estero arriva da due soli paesi: Ungheria e la Cina, ai vertici per l’insicurezza alimentare. Dunque, se si vuole evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità, secondo Coldiretti occorre «verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica».

Nel nostro paese, dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina), il miele è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria. Inoltre la parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più paesi dell’Unione Europea, dice ancora l”associazione,«l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della CE”; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della CE”, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della CE». (r.cr.)

Clima pazzo, l'allarme della Coldiretti regionale: «A rischio tutta la produzione di miele del 2019».
Economia 19 Aprile 2019

Parziale chiusura durante le feste pasquali per la Cooperativa Ceramica e per la Florim di Mordano

Anche il settore ceramico risente del rallentamento che sta riguardando l’economia italiana. Secondo Confindustria Ceramica, «nel 2018 l’industria italiana delle piastrelle, dopo un quinquennio di continua crescita, ha registrato una battuta d’arresto di produzione, vendite ed export». Un trend che a fine anno il presidente di Confindustria ceramica, Giovanni Savorani, motivava in questi termini: «Il commercio internazionale di tutti i settori risente delle crescenti tensioni commerciali a livello mondiale, e in particolare tra Stati Uniti e Cina, che generano incertezza presso consumatori e operatori professionali. Recenti analisi dimostrano che i Paesi che soffrono maggiormente di questa situazione sono i forti esportatori e quelli dall’elevato debito pubblico, condizioni entrambe che riguardano l’Italia».

I dati Istat, riportati da Unioncamere Emilia Romagna, dicono che nel 2018 il settore dell’industria ceramica, alla voce export, è l’unico ad aver chiuso con una dinamica negativa (-3,5%). Questo è il contesto che sul finire del 2018 ha spinto alcune aziende ad allungare la tradizionale fermata natalizia per evitare un accumulo eccessivo di scorte. Le fermate si ripeteranno in via eccezionale anche in occasione delle prossime festività pasquali. E’ anche vero che quest’anno il calendario vede cadere nella stessa settimana il Lunedì di Pasqua e il 25 Aprile, concomitanza che ha fatto optare anche le aziende del nostro territorio per una chiusura straordinaria.

In Cooperativa ceramica d’Imola il «fermo» andrà dal 20 aprile al 5 maggio compresi. Dei circa 1.160 lavoratori all’attivo faranno eccezione gli impiegati e gli addetti del magazzino spedizioni oggi centralizzato in via Correcchio e sempre aperto. Inoltre, nello stabilimento di Faenza i tre reparti di rettifica, lappatura e cernita resteranno chiusi solo a rotazione. Questo per permettere alle maestranze di evadere una grossa commessa, arrivata un paio di settimane fa da un nuovo cliente americano. Anche alla Florim di Mordano, dove lavora una settantina di addetti, il reparto grès andrà in ferie dal 20 aprile al 1° maggio compresi. Forni sempre accesi, invece, nel nuovo reparto 4.0, oggi interconnesso al nuovo polo produttivo che l’azienda ha avviato a inizio anno a Fiorano Modenese, che continuerà a produrre le grandi lastre. Il mercato premia i grandi formati, che nel 2018 in Florim hanno visto aumentare le vendite di circa il 3%. (lo.mi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 18 aprile

Parziale chiusura durante le feste pasquali per la Cooperativa Ceramica e per la Florim di Mordano
Economia 24 Ottobre 2018

Marroni di Castel del Rio, contro la vespa cinese no al rastrellamento del sottobosco che uccide gli insetti amici

Il 2018 verrà ricordato per la castanicoltura locale come una buona annata, a parte qualche zona a macchia di leopardo a Firenzuola, penalizzata dalle grandinate, e una piccola recrudescenza della vespa cinese con 2 o 3 focolai tra Montefune e le Selve della Massa, a est di Castel del Rio, e Sestetto, a sud del comune alidosiano.

«La situazione – spiega il presidente del Consorzio castanicoltori di Castel del Rio, Giuliano Monti – è abbastanza circoscritta e inspiegabile, dato che gli insetti antagonisti della vespa sono presenti nell’ambiente. Probabilmente in quei castagneti sono state condotte delle pratiche non corrette. O sono stati fatti trattamenti chimici, tra l’altro vietatissimi, o si brucia e si rastrella via il sottobosco, cosa che comporta però anche l’uccisione degli insetti antagonisti. Pratiche che magari andavano bene cinquant’anni fa, ma che non sono più consone oggi. Ai castanicoltori lo abbiamo detto. In collaborazione con il Comune di Castel del Rio, lo scorso dicembre, è stata anche emessa una ordinanza per il “divieto di abbruciamento della parte apicale” (ovvero la parte fruttifera e vegetativa della pianta dove si installa l’antagonista della vespa cinese) dei rami di castagno, dal 1 luglio al 15 maggio, con l’obiettivo di salvaguardare la sopravvivenza del “Torymus sinensis”, che depone le uova all’interno delle galle, sull’apice vegetativo delle piante. Alcuni coltivatori tengono il castagneto come un campo da golf, rastrellano tutto, in continuazione, e in questo modo spazzano via la sostanza organica del castagneto, ricci, rami caduti, foglie, che invece andrebbero lasciati a terra, anche perché vanno a costituire il nutrimento del castagneto stesso. Invece c’è chi fa pulizia prima della raccolta, a settembre e addirittura anche a giugno. Dal punto di vista paesaggistico quei castagneti sono come giardini, ma dal punto di vista agronomico è uno sbaglio: non solo si va ad impoverire il castagneto, ma si uccide il torymus».  ( lo.mi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 18 ottobre

Marroni di Castel del Rio, contro la vespa cinese no al rastrellamento del sottobosco che uccide gli insetti amici
Economia 24 Ottobre 2018

Marroni di Castel del Rio, il 2018 buona annata per quantità e qualità. Anche il prezzo soddisfa i produttori

Dopo il minimo storico toccato nel 2017 a causa della siccità, quest’anno il raccolto e la qualità dei marroni nostrani tornano nella norma. «La produzione è buona – conferma Giuliano Monti, presidente del Consorzio castanicoltori di Castel del Rio che riunisce una sessantina di produttori – e la previsione è di arrivare a 5 mila quintali come nel 2016, a fronte dei circa 2 mila quintali del 2017. Quest’anno i marroni sono tanti e molto buoni. I primi che sono stati raccolti a inizio ottobre erano un po’ “cotti” per le alte temperature che abbiamo avuto a settembre, ma la richiesta dei consumatori è stata soddisfatta. La stagione naturale è la prima decade di ottobre e al momento circolano solo prodotti belli, anche se la pezzatura non è eccezionale».

Anche il prezzo è buono. «Le quotazioni all’ingrosso – elenca Monti – sono sui 5 euro al chilo per i marroni grossi di Castel del Rio, mentre al dettaglio il prezzo oscilla sui 7-7,5 euro al chilo per la pezzatura grossa e 5-6 euro al chilo per la pezzatura media. Va anche detto che all’inizio tutto il commercio riguarda prodotti freschi, mentre, ora questi sono destinati a essere conservati in acqua, cosa che fa scendere il prezzo. Mi aspetto quindi un assestamento fisiologico sui 4 euro al chilo all’ingrosso».

Non così bene, invece, al sud, dove le temperature molto alte hanno inciso sui risultati, a vantaggio della produzione del nord Italia. «Nelle zone di Roma, Viterbo e monte Amiata – conferma Monti – il prodotto è poco e di scarsa qualità».

Alla luce di tutto ciò, la concorrenza delle castagne non fa paura. «Al momento sono pochissime – aggiunge il presidente dei castanicoltori -. Costano meno, ma valgono anche meno qualitativamente: se il marrone arriva anche a 8 euro al chilo, le castagne sono sui 4-5 euro al chilo». (lo.mi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 18 ottobre

Marroni di Castel del Rio, il 2018 buona annata per quantità e qualità. Anche il prezzo soddisfa i produttori
Economia 9 Ottobre 2018

Tutte le novità proposte da Coop Ceramica, Florim e La Fabbrica al Cersaie e ai suoi 112.000 visitatori

La 36ª edizione del Cersaie, il Salone della ceramica per l’architettura e dell’arredobagno, si è svolta dal 24 al 28 settembre alla Fiera di Bologna. L’appuntamento quest’anno ha richiamato oltre 112 mila visitatori, 840 espositori di cinque continenti e 40 nazionalità, poco più della metà dei quali appartenenti al settore delle piastrelle. Tra questi c’erano anche le più importanti aziende del settore presenti sul nostro territorio, Cooperativa Ceramica d’Imola, Florim, di Fiorano Modenese ma con stabilimento anche a Mordano, e La Fabbrica di Castel Bolognese, rilevata nel 2017, attraverso la holding Italcer, dal fondo Mandarin Capital Parners II, di cui fa parte anche l’economista di origini imolesi Alberto Forchielli.

Vetrina per eccellenza, quest’anno Coop. Ceramica ha proposto quattro nuove collezioni: «Parade», progetto che «fra storia, ricerca e tecnologia, rispetto per la materia e le sue origini» trae ispirazione dalla graniglia e dai pavimenti in battuto veneziano; «The room», nuova generazione di lastre ceramiche ispirata alla ricchezza dei marmi pregiati; «Lime-Rock», che rievoca le caratteristiche della roccia sedimentaria; «Blue Savoy», collezione dedicata all’omonima pietra naturale, apprezzata da designer e architetti, di cui viene riprodotto anche il particolare effetto traslucido.

Il Cersaie dà anche la possibilità alle aziende di portare i visitatori della fiera all’interno dei propri stabilimenti e showroom. Florim ha sfruttato questa occasione per trasformare la propria «gallery» a Fiorano Modenese, rinnovata per l’occasione, in un teatro, dove immergere i propri ospiti in una esperienza a 360°, fatta di luci, suoni, colori spettacolari. «Discover the future» è stato il tema di quattro diverse serate, durante le quali l’azienda ha messo in scena uno spettacolo digitale avveniristico.

Nello stand firmato dal noto architetto Massimo Iosa Ghini, La Fabbrica, invece, ha presentato i marchi «La Fabbrica» e «Ava Ceramica», quest’ultimo dedicato ai grandi formati. (lo.mi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 4 ottobre

Tutte le novità proposte da Coop Ceramica, Florim e La Fabbrica al Cersaie e ai suoi 112.000 visitatori
Economia 28 Agosto 2018

E' tempo di vendemmia in Emilia Romagna: bene quantità e qualità, per gli addetti ecco i voucher

Buone prospettive per la vendemmia 2018 che, come avviene da qualche anno, parte con una decina di giorni di anticipo. Lo dice Coldiretti Emilia Romagna, che prevede per questa stagione il ritorno alla normalità produttiva, dopo il calo del 23% registrato nel 2017 a causa della situazione climatica.

“La produzione – sottolineano dall”associazione – dovrebbe tornare a circa 7 milioni di quintali, con una qualità di ottimo livello, grazie anche al sole che ha caratterizzato le ultime settimane di maturazione”.

Inoltre, per l”organizzazione della raccolta i produttori possono contare sul ritorno dei voucher, uno strumento agile e flessibile, che semplifica l”assunzione di manodopera per periodi limitati.

La Coldiretti regionale fa poi il punto sulle diverse varietà di uva: “È già avanti la vendemmia delle uve destinate alla spumantizzazione (Pinot, Chardonnay, Moscato) ed è pronta al via la raccolta dei vini bianchi classici: Albana, Trebbiano, Pignoletto, Ortrugo, Malvasia, per ricordare i più importanti. Nella prima decade di settembre inizierà inoltre la vendemmia delle uve per i vini rossi, dal Sangiovese al Gutturnio, dal Lambrusco al Merlot, fino al Cabernet che chiude la vendemmia”.

Proseguendo con le previsioni, la maggior crescita a livello quantitativo è attesa in Romagna, ad eccezione delle aziende che hanno subito grandinate tra fine giugno e inizio luglio.  Qui la produzione è in aumento su tutte le varietà di vino, mentre nel bolognese crescono i bianchi e risultano in leggero calo i rossi.

L”alta qualità delle uve è inoltre la base essenziale per ottimi vini. Coldiretti sottolinea che poco meno della metà dei vini della regione, vale a dire una percentuale del 48,9%, è destinata alla produzione di vini Doc (21,4%) e Igt (27,5%), mentre la restante percentuale (51,1%) contempla vini da tavola e vini varietali.

In totale i vini Doc sono 18, quelli Igt 9, mentre due, Albana di Romagna e Pignoletto classico dei Colli bolognesi, sono i vini che si avvalgono della denominazione di origine controllata e garantita (Docg).

Per completare il panorama dei numeri, l”associazione ricorda che “in Emilia Romagna ci sono 51 mila ettari di vigneto, coltivati da 19 mila aziende, più di un terzo delle quali (35%) vende direttamente al consumatore. Quella della vendita diretta del vino è una tendenza in continuo aumento negli ultimi anni anche come risposta alle richieste dei consumatori di conoscere personalmente il produttore, scoprire le caratteristiche del prodotto e visitare il territorio di origine”.

“Il comparto vitivinicolo in Emilia Romagna – conclude Coldiretti regionale – rappresenta oltre il 6% della Plv regionale, dà lavoro a 150 mila addetti e nel 2017 ha contribuito alle esportazioni per un valore di oltre 320 milioni di euro”.

E' tempo di vendemmia in Emilia Romagna: bene quantità e qualità, per gli addetti ecco i voucher

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