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Economia 12 Marzo 2019

Fioritura anticipata per gli alberi da frutto a causa del febbraio mite, ma si teme il ritorno del freddo

Peschi e albicocchi sono già prossimi alla fioritura, ma un po’ tutte le coltivazioni sono in grande anticipo a causa di un febbraio insolitamente caldo e siccitoso. Nei prati hanno già fatto capolino margherite, tarassachi e ranuncoli. Una «finta primavera» che ha ingannato le coltivazioni, favorendone un «risveglio» anticipato che le rende particolarmente vulnerabili all’annunciato ritorno del freddo. «I cambiamenti climatici in atto – rileva Coldiretti Emilia Romagna – si manifestano con sfasamenti stagionali ed eventi estremi, con pesanti effetti sull’agricoltura regionale, che negli ultimi dieci anni, a causa delle bizzarrie del tempo, ha subito danni per oltre 2 miliardi di euro. La gestione del rischio è quindi un fattore sempre più strategico per la competitività delle aziende agricole, per questo è necessario che le nostre aziende assicurino i loro prodotti sia vegetali che animali».

Ma Confagricoltura Emilia Romagna indica anche un’altra strada. «L’inverno mite ha anticipato la ripresa vegetativa di alcune specie di albicocco, a fioritura precoce, molto diffuse sul territorio (Wonder Cot, Sweet Cot, Rubista e Aurora) e sarà così, a seguire, anche per tutte le altre varietà di drupacee. Il rischio è che nella fase della fioritura ritorni il freddo, o addirittura il gelo, come avvenne l’anno scorso. Occorrono quindi nuove varietà in grado di ritardare la fioritura».

In Emilia Romagna le colture frutticole coprono una superficie di 110.000 ettari circa (di cui 50.000 coltivati a vite). «Il cambiamento climatico – rimarca Confagricoltura Emilia Romagna – ci spinge ancora di più a investire in ricerca e sperimentazione, a sostegno di un comparto che eccelle per qualità se paragonato a quello degli altri paesi competitor. Abbiamo bisogno di rilanciare la ricerca pubblica italiana in ambito frutticolo, per ottenere varietà adatte alle nostre condizioni pedoclimatiche e al meteo in continuo cambiamento». (r.cr.)

Fioritura anticipata per gli alberi da frutto a causa del febbraio mite, ma si teme il ritorno del freddo
Cronaca 27 Marzo 2018

Clima, dal 1998 le stagioni non sono più le stesse. I dati dello Scarabelli

Non ci sono più le stagioni di una volta: un luogo comune o un dato di fatto? L’occasione per capire come è cambiato il clima a Imola negli ultimi settant’anni e quali effetti ne sono conseguiti è stato il convegno Mutamenti climatici, impatti sul territorio, organizzato lo scorso 17 marzo dall’Associazione ex allievi dell’Istituto agrario Scarabelli.

Nel corso dell’iniziativa è stato anche presentato il nuovo Annuario climatologico, che raccoglie i grafici con i dati registrati dal 1945 al 2017 dalla stazione meteo dell’istituto di via Ascari. Innanzitutto, sfatiamo un luogo comune. «Non è vero che piove di meno rispetto a un tempo – ha spiegato nel suo intervento Fausto Ravaldi, referente della stazione meteo dello Scarabelli -. Il livello delle precipitazioni in millimetri è tornato a quello del secondo dopoguerra e non avendo dati relativi ai primi anni del ’900 non sappiamo se siamo di fronte a un evento ciclico. Il numero di giorni di pioggia non è cambiato, ma gli intervalli fra gli eventi piovosi sono aumentati. Questo significa anche che piove sempre di più sul bagnato, cioè quando meno ce n’è bisogno e quando il terreno, già saturo, non riesce più ad assorbire l’acqua. Per questo cede, causando spesso frane e smottamenti».

Un effetto a cui stiamo assistendo proprio in questi giorni. Le estati, invece, sono sempre più calde e siccitose. C’è una data che fa da spartiacque, il 1998. «Dalla fine degli anni ’90 in poi – conferma Ravaldi – l’andamento climatico estivo è cambiato. Prima le estati non erano particolarmente calde e siccitose, con massime raramente al di sopra dei 37°. Dal 1998 le estati tendono a essere molto calde e pericolosamente siccitose, con un rischio maggiore di cedimenti del terreno e con punte massime in costante aumento, fino ai 43,8 gradi registrati il 4 agosto 2017, record di questi ultimi 72 anni. Perché proprio il 1998? Non so, ma è vero che la nostra impronta ecologica sta diventando ormai insostenibile per il pianeta. Il riscaldamento globale è una situazione irreversibile».

Un tempo, d’estate, si parlava molto più spesso di anticiclone delle Azzorre. Oggi è stato soppiantato dall’anticiclone africano, responsabile di correnti d’aria molto calda, provenienti da sud-ovest anche in primavera e autunno inoltrato. Sull’Annuario alcuni esperti mettono in evidenza gli effetti a catena sul nostro ecosistema di tutte queste variazioni, in particolare per quanto riguarda le popolazioni di pesci, insetti e funghi. Insetti comunemente presenti nelle regioni meridionali, come l’afide verde degli agrumi, si sono acclimatati anche nella nostra zona, riuscendo a sopravvivere in inverno. L’alterazione delle fioriture causate da precipitazioni mal distribuite si ripercuote anche sulla produzione di miele e sulle popolazioni di api. Gli inverni miti stanno facendo diventare rari funghi come spugnole e prugnoli. E sono solo alcuni esempi. 

lo.mi.

Nella foto (archivio «sabato sera»): il fiume Santerno nel gennaio 1985, quando la temperatura raggiunse i -17°

Clima, dal 1998 le stagioni non sono più le stesse. I dati dello Scarabelli

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