Scavi archeologici in via Montericco dove deve sorgere la nuova ala dell’ospedale
Nessun cantiere fermo per problemi con le ditte impegnate nella costruzione della nuova ala dell’ospedale Santa Maria della Scaletta che dovrà accogliere la riabilitazione e il Cup. La terra accumulata in piccole collinette su via Montericco oramai da un paio d’anni è quella degli scavi archeologici propedeutici alla costruzione dell’edificio. Infatti – piega Alessandro Faiello, direttore del servizio Patrimonio e Tecnologie impiantistiche dell’Azienda Usl di Imola – “la normativa oggi prevede che si facciano le verifiche archeologiche man mano che procede la progettazione e solo alla fine si può dare il via alla gara d’appalto”.
Non solo. Qualora in cantiere siano previste attività di scavo di qualsiasi profondità e tipologia, la legge prevede anche la verifica preventiva del rischio di presenza di residuati bellici inesplosi. “Anche in questo caso – spiega ancora Faiello – siamo a buon punto: rimane da controllare solo una piccola porzione vicino all’ospedale. Finora non è stato trovato nulla e prevediamo di finire in primavera”.
Come detto, la verifica preventiva consente di accertare, prima di iniziare i lavori, la sussistenza di giacimenti archeologici ancora conservati nel sottosuolo e di evitarne la loro distruzione o il blocco del cantiere per lungo tempo. “Una volta cominciavi i lavori e poi, se trovavi qualcosa, interveniva la Soprintendenza e avevi i costi del fermo cantiere e le ditte andavano in difficoltà. Ora la legge 163 e la successiva modifica del 2016 richiedono come buona pratica che vengano fatte verifiche durante la progettazione preliminare, poi il progetto definitivo e completare gli scavi prima di partire con il progetto esecutivo, che stiamo completando. E’ una procedura sensata – conclude Faiello – anche perché nel caso in cui vi siano dei ritrovamenti importanti si può modificare il progetto senza costi aggiuntivi”.
Considerando che una delle scoperte archeologiche più rilevanti degli ultimi decenni a Imola venne fatta proprio con le fondamenta dell’ospedale, la possibilità che potesse esserci qualcosa di interessante sotto il giardino prospiciente via Montericco lasciava pochi dubbi. Infatti, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, durante la costruzione del nuovo nosocomio, lo scavo condotto dalla Soprintendenza archeologica portò alla luce una delle più importanti necropoli riferibili alle popolazione umbre che tra VI e V secolo avanti Cristo, tarda età del ferro, si insediarono nel territorio romagnolo; in tutto vennero ritrovate 77 tombe.
E dal terreno sul quale sarà costruita la nuova ala dell’ospedale ora è emerso un ulteriore capitolo di quella stessa storia: la tomba di un bambino e un’area di fornaci per la produzione di manufatti in terracotta, un insediamento produttivo con le tipiche buche ricolme di cocci e pozzi per l’acqua, stretto in un triangolo a ridosso dell’ospedale da una strada sterrata che tagliava in diagonale dalla base della collina verso l’odierna via Montericco. Anche in questo caso la datazione è tra IV e V secolo avanti Cristo. Se vogliamo, è la conferma che la vocazione per la ceramica del nostro territorio affonda le radici in un passato anche più lontano di quel che pensiamo di solito.
“L’incarico per l’analisi archeologica – precisa l’ingegner Andrea Neri del servizio Patrimonio e coordinatore dei lavori – è stato dato alla Pegaso Archeologia di Xabier Gonzalez Muro, con la supervisione di Valentina Manzelli, funzionario della Soprintendenza per i Beni culturali”. Chiaramente il costo rientra nel budget complessivo per i lavori. “Finora abbiamo speso circa 30 mila euro per gli archeologi e 10 mila di scavi; ne serviranno altri 5-10 mila per ultimare il tutto“.
Proprio l’ultimo sopralluogo con la Soprintendenza ha portato alla decisione di scendere di un altro metro rispetto ai quattro già sondati finora. “Non è coinvolta l’intera area delle fondamenta ma solo dove sono emersi ritrovamenti durante le verifiche preliminari, diciamo meno della metà”, informa Neri, che non nasconde la propria curiosità al riguardo (tra l’altro, è di Ozzano e portare fuori il cane per lui ogni tanto significa camminare lungo l’area archeologica di Claterna, la grande e antica città che sta emergendo lungo la via Emilia). Il materiale sin qui ritrovato è stato tutto raccolto e ora tocca agli archeologi deciderne esattamente l’importanza e la caratterizzazione. L’analisi è in corso e nei prossimi mesi se ne saprà di più.
Nel frattempo, comunque, i tecnici dell’Ausl proseguiranno con la progettazione esecutiva. A disposizione ci sono 7 milioni, di cui 3 e mezzo già finanziati dalla Regione, che ha già approvato anche il progetto definitivo. “Si tratta di 4.500 metri quadri formati da un piano interrato più due piani fuori terra – spiega ancora Neri -. Una piastra ad “elle” che si collegherà al pianterreno al corridoio centrale e sarà l’accesso per l’utenza, mentre al secondo piano verrà collegato al corridoio di accesso alle sale operatorie per il personale e in caso di emergenza. Il tetto sarà in piano e prevediamo il rivestimento esterno delle pareti con lastre di ceramica. Dal punto di vista energetico l’edificio sarà di classe A, sia per gli infissi che per la coibentazione, con le pareti ventilate”.
L’obiettivo di questa nuova ala è prima di tutto spostare in via Montericco tutti i servizi riabilitativi dell’Ausl che attualmente sono al Silvio Alvisi. Quindi vi saranno tre grandi palestre e poliambulatori. Poi vi verrà traslocato il Cup ospedaliero, oggi angusto, e il Punto accettazione unico. Le palestre serviranno sia per l’uso ospedaliero che territoriale; in questo modo le palestre al terzo piano potranno essere riutilizzate per migliorare il comfort del reparto. “Nel 2019 speriamo di poter partire con la gara per realizzarlo. Come si sa, il progetto prevede il “Silvio Alvisi” in permuta alla ditta aggiudicataria ma solo al collaudo – sottolinea Faiello -, quindi non dovremo liberare gli spazi o fare traslochi intermedi prima della fine. Il progetto è già inserito anche nel Psc-Poc”. Questo significa che anche l’Asp non dovrà trovare una nuova “casa” finché la nuova piastra non sarà completata. A questo punto la nota dolente sembrano proprio i tempi di realizzazione dei lavori. “Diciamo che se tutto andrà come preventivato nel giro di quattro anni avremo pronto l’edificio“.