Titolari di un”azienda agricola imolese denunciati per caporalato
Nei giorni scorsi i titolari di un”azienda agricola di Imola sono stati denunciati con l”accusa di aver assunto lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno (art.22 comma 12 del D.L. 286/98) e di caporalato (art. 603 bis del Codice Penale), ovvero una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera senza il rispetto delle regole di assunzione e dei diritti dei lavoratori. Per questo motivo l”attività dell”azienda è stata temporanemante sospesa.
Tutto è partito dalle indagini condotte dall”Ufficio Stranieri del commissariato di polizia di Imola per verificare la situazione abitativa e lavorativa di una famiglia, marito e moglie di circa 40 anni con due figlie di 7 e 10 anni, in relazione alla loro richiesta di ottenere un permesso di soggiorno per l’assistenza delle due figlie minori nate in Italia e per il quale avevano indicato come residenza proprio l”abitazione dei titolari. Il padre risultava, in passato, essere stato dipendente presso l’azienda agricola, ma poi non aveva più ottenuto il permesso di soggiorno per lavoro a causa della mancanza di reddito.
Da qui il dubbio degli inquirenti che i coniugi, pur non essendo in regola con la normativa riguardante il soggiorno ed il lavoro degli stranieri in Italia, fossero stabilmente ancora impiegati nell’azienda agricola. Dubbio confermato dopo pochi appostamenti che hanno permesso di scoprire come l’uomo lavorasse sia in campagna che in un negozio di rivendita di frutta e verdura sempre intestato all’azienda agricola. Così, gli agenti, insieme al personale dell’Ispettorato territoriale del lavoro di Bologna, il 12 dicembre durante un controllo hanno sorpreso l”uomo a lavorare nell”attività commerciale. In un secondo momento, grazie ad un”ispezione nell”abitazione dei titolari dell”azienda agricola, invece, è stato riscontrato che l”intero nucleo familiare, nonostante fosse stato dichiarato che venisse ospitato nell’edificio, veniva fatto dormire in un garage privo di riscaldamento. Dagli accertamenti poi è emerso che anche la donna veniva impiegata sia nei lavori agricoli che come domestica e badante, senza ottemperare alcun termine di legge, e che il loro stato di clandestinità era dovuto al mancato pagamento sia degli stipendi che dei contributi da parte dell’azienda agricola. Ai due, infatti, venivano complessivamente corrisposti circa 500/600 euro al mese, a fronte di un lavoro quotidiano di molte ore.
I coniugi, inoltre, erano sottoposti ad una vera e propria vessazione psicologica da parte dei titolari, in quanto minacciati che, nel caso fosse emersa la loro condizione, gli sarebbero state tolte le figlie e poi sarebbero stati immediatamente perseguiti dalla polizia in quanto clandestini. Per questo i due non si erano mai rivolti alle istituzioni. Ora la famiglia, in accordo con l”Asp ed in collaborazione con l’Associazione Trama di Terre e la Caritas, è ospitata in una struttura apposita. (r.cr.)