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Cronaca 11 Febbraio 2020

Il Lions Club Imola ha dedicato una serata alle potenzialità dell’Appennino imolese

Un affascinante viaggio fotografico lungo la valle del Santerno, curato da Marco Maccarelli, ha fatto da cornice al meeting del Lions Club Imola dedicato alla valorizzazione delle potenzialità dell’Appennino imolese.

Sono state evidenziate esperienze importanti, a partire da quella di Valter Obici che gestisce l’azienda faunistico venatoria Monte Cappello nel Comune di Castel del Rio: «802 ettari di territorio coltivato e boschivo dove si può cacciare pagando delle quote – spiega Obici, dirigente del gruppo Ima di Ozzano – che vengono in parte reinvestite per mantenere una costante qualità di selvaggina ed in parte divise fra i 22 proprietari dei terreni che si ritrovano così un reddito agricolo supplementare. Poi per gestire la macellazione di cinghiali ed ungulati vari abbiamo dato vita ad un macello in piena regola, gestito da Giuseppe Mascherini, per fare uscire carni certificate dal punto di vista sanitario e, per chiudere il cerchio, è stato avviato l’agriturismo L’ululato dove si possono apprezzare queste carni di pregio».
In questa maniera si sono creati diversi posti di lavoro sempre molto importanti per il fragile equilibrio economico della vallata.

In questa direzione si è mossa anche la cooperativa Clai di Imola, acquisendo il caseificio La Faggiola di Palazzuolo sul Senio: «Abbiamo in questa modo salvaguardato importanti posti di lavoro nell’alta valle del Senio – sottolinea Pietro D’Angeli, direttore della cooperativa – ma anche valorizzato una produzione tipica del nostro Appennino, potenziandone la rete vendita».

Si è poi passati alle valutazione del turismo a 2 ruote per il quale Erik Lanzoni, direttore di If, società di promozione del territorio imolese e faentino, ha fatto il punto sulla pista ciclabile che dovrebbe prendere forma nei prossimi mesi e sul “ciclo brevetto” che interessa le vallate da Dozza a Brisighella passando per Castel del Rio.

Fra i relatori anche Fabio Gioio Gioellieri, direttore sportivo di Appennino Bike, che ha presentato un entusiasmante video emozionale sull’attività di Enduro Mountain Bike, tutto girato sulle colline attorno a Castel del Rio ed ha spiegato: «Il nostro lavoro spazia dalle scuole di MTB per i più piccini alle escursioni anche per disabili e non vedenti, fino all’organizzazione di gare di Enduro che portano centinaia di ciclisti nella nostra vallata dotata di preziosi percorsi con i più svariati gradi di difficoltà». (r.cr.)

Il Lions Club Imola ha dedicato una serata alle potenzialità dell’Appennino imolese
Economia 22 Maggio 2019

Clima pazzo, l'allarme della Coldiretti regionale: «A rischio tutta la produzione di miele del 2019».

Brutte notizie dalla Coldiretti Emilia Romagna riguardo all”apicoltura. L”associazione agricola annuncia che a causa del clima pazzo (marzo siccitoso, aprile e maggio trascorsi tra vento, pioggia e sbalzi termici) è persa la produzione di miele di acacia, poiché le condizioni meteo non hanno consentito alle api neanche di trovare nettare sufficiente da portare nell’alveare. E questa situazione metterebbe addirittura a rischio l’intera produzione di miele dell’Emilia Romagna per il 2019.

L’allarme della Coldiretti regionale sugli effetti del maltempo ha praticamente rovinato la giornata mondiale delle api, istituita dall”Onu nel 2018 e celebratasi il 20 maggio a livello planetario. «La pazza primavera – sottolinea l”associazione – ha creato gravi problemi agli alveari con il maltempo che ha compromesso molte fioriture e le api che non hanno la possibilità di raccogliere il nettare. Il poco miele che sono riuscite a produrre se lo mangiano per sopravvivere. La sofferenza delle api è uno degli effetti dei cambiamenti climatici in atto che sconvolgono la natura e si manifestano con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo».

Secondo i dati forniti da Coldiretti, la produzione di miele dell’Emilia Romagna l”anno scorso è stata di 1.440 tonnellate, con un incremento del 20% rispetto all’annata precedente che aveva risentito della straordinaria siccità del 2017. Nel 2018 rilevanti sono state le importazioni dall’estero, in aumento del 18% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà di tutto il miele estero arriva da due soli paesi: Ungheria e la Cina, ai vertici per l’insicurezza alimentare. Dunque, se si vuole evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità, secondo Coldiretti occorre «verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica».

Nel nostro paese, dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina), il miele è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria. Inoltre la parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale mentre nel caso in cui il miele provenga da più paesi dell’Unione Europea, dice ancora l”associazione,«l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della CE”; se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della CE”, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della CE». (r.cr.)

Clima pazzo, l'allarme della Coldiretti regionale: «A rischio tutta la produzione di miele del 2019».
Economia 8 Maggio 2019

I segreti del Carciofo Moretto di Brisighella, prodotto di stagione che cresce bene tra i calanchi esposti al sole

«Il 2019 potrebbe essere l’anno del rilancio del Carciofo Moretto di Brisighella». Questo, l’augurio di Franco Spada, agronomo e presidente del Consorzio di tutela e valorizzazione dell’olio di Brisighella Dop. La produzione è buona e si avverte ottimismo tra gli agricoltori. «Il progetto comprensoriale per il recupero storico di questo prodotto – continua Spada – si è interrotto circa due anni fa, ma occorre riprendere in mano il materiale che è stato preparato. Il Comitato promotore deve fare valutazioni sul disciplinare e reimpostare lo studio per la richiesta della Dop. Sarà difficile perché la zona di riferimento è veramente una micro area, ma sarebbe importante definirne i confini».

Una varietà rustica della più conosciuta pianta importata dai romani dalla Spagna e dall’Africa e arrivata sulle nostre tavole solo nel 1446. Varietà unica ed antica, che nel corso dei secoli non è mai stata oggetto di interventi di miglioramento genetico, così da conservare ancora oggi le peculiarità conferitegli dalle particolari condizioni della zona di produzione, circoscritta al solo territorio del comune della provincia di Ravenna. Diverse famiglie di agricoltori del brisighellese e del faentino coltivavano questa pianta, oggi prodotto di nicchia, già a metà del Novecento, come certificato da testimonianze orali raccolte dalla Provincia di Ravenna. In passato lo si coltivava prettamente nelle scarpate vicino alle case di campagna, dove la massaia buttava la cenere di camini e stufe a legna, ostacolando la presenza di roditori, ghiotti della sua radice.

«La pianta – come ricorda il Crpv, il Centro ricerche produzioni vegetali di Cesena – si presenta come un cespuglio che può raggiungere un’altezza di 150 centimetri, il fusto è eretto con getti vegetativi basali, i carducci, che sono usati per la riproduzione». Colore violaceo con riflessi dorati, spine giallo nere ben formate e rigide, sapore leggermente amaro ma fresco e appetitoso. «Dal punto di vista agronomico – spiega ancora il Crpv – predilige i terreni siliceo-argillosi tipici dei calanchi romagnoli, ben esposti al sole». L’ortaggio sarebbe stato involontariamente «battezzato» Moretto dalla madre del ristoratore Nerio Raccagni. «Mia madre – racconta – diceva sempre che, così selvatico e difficile da pulire perché ti forava le mani, era brutto, spinoso e cattivo proprio come me. Siccome il mio soprannome era Moretto, lo diventò anche il carciofo».Oggigiorno questa varietà è coltivata da una trentina di produttori, cinque dei quali custodi del Carciofo Moretto, per un totale di circa 10 ettari.

«In realtà nel 2016 i custodi erano dieci – specifica ancora Spada – ma gli ultimi due anni sono stati particolarmente difficili per l’attacco indiscriminato dei topi sulle piante e per ridimensionamenti che hanno interessato alcuni produttori». Stefano Nannini è uno di loro, coltiva circa 4 mila piante in 5 mila metri quadrati in località Marzeno di Brisighella: «E’ un prodotto molto interessante – racconta -, tipico del luogo. Il Moretto è stato sempre legato a questi suoli che gli conferiscono profumi e sapori inconfondibili».

Ma è tempo di pensare al raccolto. «In due giorni – dice Silvano Neri dell’azienda “I frutti di stagione” di Brisighella, che in tre ettari di terreno coltiva 40 mila piante che danno 60 mila carciofi – è caduta l’acqua che serviva, è andata benissimo e a metà settimana cominciamo a raccogliere. Anzi, comincio a raccogliere perché faccio tutto da solo: la mattina presto o di notte, con la lampadina in testa come quelli che vanno a correre. Quando c’è buio e fresco si raccoglie meglio perché – spiega – il gambo si spezza e non si deve tagliare con le forbici e ci si può vestire più pesante. Le spine acute sono molto pungenti e occorre proteggersi bene».

E dal 2005 a Brisighella viene organizzata la Sagra del Carciofo Moretto, proprio per promuovere e valorizzare questa varietà rustica di carciofo. L”edizione di quest”anno è partita il 5 maggio e il prossimo appuntamento per gustare i piatti a base di questo ingrediente è domenica 12 maggio (al.gi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 2 maggio

I segreti del Carciofo Moretto di Brisighella, prodotto di stagione che cresce bene tra i calanchi esposti al sole
Cultura e Spettacoli 11 Aprile 2019

Very Slow Italy e Very Wine, weekend col gusto e il buon vivere a Castel San Pietro

Non solo molto lento ma anche molto ricco. Il programma castellano dell’edizione 2019 di Very Slow Italy, la fiera delle Cittaslow dedicata all’enogastronomia e al vivere sostenibile, abbonda di appuntamenti per tutti i gusti, uniti fra loro dal fil rouge della filosofia della lentezza che comprende lo slow food (ovvero il buon mangiare), la slow mobility (intesa come mobilità sostenibile) e in generale un nuovo concetto di tempo più «umano» in contrapposizione con la velocità della modernità. Sul Sillaro la fiera delle Cittaslow, un’ottantina sul territorio nazionale oltre a Castello, prende il via venerdì 12 aprile con l’inaugurazione del Very Wine, spazio dedicato alle cantine locali, in programma in piazza XX Settembre alle 18.30 (e fino alle 23). Il Very Wine proporrà poi percorsi degustativi con vini e prodotti tipici, a cura dell’Accademia internazionale enogastronomi e sommeliers, il sabato dalle 17 alle 23 e la domenica dalle 11 alle 21. Domenica 14 saranno poi straordinariamente aperte anche alcune cantine castellane (Dalfiume Nobilvini, Fratta Minore, Falconi Davide e Sgarzi Luigi) per visite guidate con tanto di navetta gratuita che effettuerà i collegamenti con partenza ed arrivo al palazzo comunale ogni trenta minuti dalle 15 alle 19.30. A fare da ciceroni dei tour per conoscere dove e come le uve diventano vini saranno gli alunni dell’istituto alberghiero castellano Scappi. Sempre venerdì in piazza XX Settembre sono in programma anche il recital in dialetto a cura delle associazioni TerraStoriaMemoria e Spazio Life (ore 19.30), la sfilata di moda Fashion&Wine (ore 20.30) e il pianobar sotto le stelle (ore 21.30).

Il sabato inizia invece all’insegna della mobilità slow, con la camminata ludico-motoria a cura dell’associazione Club Carrera (iscrizioni in piazza XX Settembre dalle 8.30). Altre camminate sono in programma domenica nel parco Lungosillaro alla scoperta delle tracce degli animali che lo abitano (ritrovo alle 14.30 in piazza XX Settembre con l’associazione Ekoclub) e sabato sera dalle 20.30 alle 23 alla scoperta degli animali notturni della valle del Sillaro (prenotazione obbligatoria al 328/7414401 e ritrovo nel parcheggio della fonte Fegatella). Appuntamenti dedicati alle due ruote a pedali sono invece la pedalata dei bambini Bimbimbici, con partenza alle 9.15 nell’area antistante le scuole dell’infanzia Rodari ed Ercolani e il pic nic presso il Giardino degli Angeli, e la Trenta km con un litro bike, tour delle cantine vitivinicole castellane in bicicletta a cura delle associazioni sportive dilettantistiche Osteria Bike e Leopardi Racing Team. Sempre sabato in centro storico, dalle 14 alle 18, ci sarà il laboratorio di creta tradizionale e termale per bambini, il laboratorio di fumetto e, alle 18, l’inaugurazione della mostra personale di Ali Hosseini con musica dal vivo. Alle 17 nel cortile delle antiche carceri di via Matteotti 79, Palazzo di Varignana presenta il proprio progetto agricolo dedicato all’olio extravergine di oliva con i premi ricevuti e il proposito di diventare nei prossimi anni il primo produttore regionale.

Domenica alle 17 in piazza Acquaderni, sempre a cura del resort sulle colline castellane, lo show cooking a base di olio extravergine di oliva. Sempre domenica dalle 14 alle 19 nella parte alta di via Matteotti trova spazio la mostra-scambio di giochi, fumetti e libri dedicato a bambini e ragazzi tra i 6 e i 14 anni.Vanno invece in scena in entrambi i giorni la fiera-mercato delle specialità alimentari italiane (per tutto il centro storico dalle 9 alle 23), la Piazza delle Cittaslow con le eccellenze enogastronomiche e artigianali delle città che abbracciano la filosofia slow, le degustazioni di mieli a cura dell’Osservatorio nazionale del miele, l’esposizione di opere riciclate da artisti dell’ingegno, i laboratori per bambini sulle piante e la natura a cura dell’associazione Semi di benessere (in piazza Acquaderni dalle 10 alle 11.30 e dalle 16 alle 18) e lo Scombussolo Ludobus con giochi dal passato per tutti (sempre in piazza Acquaderni dalle 11 alle 18).

Fra le novità dell’edizione 2019 di Very Slow, oltre alla già citata collaborazione con un proprio stand in piazza di Palazzo di Varignana, spicca anche la partecipazione del Golf Club che ospita, giovedì 11, la cena tradizionale «vegetale» con menù dello chef stellato Simone Salvini e i prodotti bio dell’azienda Alce Nero (25 euro a persona).

L”articolo completo è su «sabato sera» in edicola da giovedì 11 aprile

Nella foto, un momento dell’edizione 2018 di Very Slow

Very Slow Italy e Very Wine, weekend col gusto e il buon vivere a Castel San Pietro
Economia 13 Febbraio 2019

Alla scoperta del cardo, delle sue varietà e dei produttori che lo coltivano da Ponticelli a Ozzano Emilia

Gobbi e salsiccia ma, in mancanza di carne ricca, si potevano anche cuocere semplicemente in umido, come raccomandava già nel 1891 il gastronomo Pellegrino Artusi nel suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Il cardo era uno dei pochi prodotti invernali dell’orto e tipici di una civiltà contadina di inizio secolo, che cucinava in modo semplice e povero. Oggi questo prodotto ha meno successo. «Non è di consumo immediato – dice Michael Ferri, che a Ponticelli si prende cura di circa 100 quintali di cardi gobbi bianchi, soprattutto della varietà Gigante di Romagna -. Non è pratico perché deve essere lavorato, pulito e poi cucinato. La società è cambiata, non ha più tempo per certe cose».

Ma Michael ci crede e la sua produzione, grazie soprattutto alla vendita a filiera corta nei mercatini, finisce velocemente. «Nella vallata del Santerno siamo ormai gli unici – prosegue Ferri -. Iniziamo la raccolta a metà ottobre, poi andiamo avanti fino a febbraio. E’ il contorno di stagione. La quantità è in linea con lo scorso anno, anzi prevedo un 10-15 per cento in più, mentre il processo produttivo è leggermente ostacolato da bizzarrie climatiche, troppo caldo. Il gelo è fondamentale, dopo una gelata, infatti, la consistenza del cardo diventa migliore e più tenera. Il clima sta cambiando. La qualità comunque è ottima».

Lavoro in cucina e lavoro nei campi. «Occorre molta manodopera, i costi di produzione sono alti, c’è difficoltà di meccanizzazione nella maggior parte della lavorazione». Ma, nonostante questo, Ferri e la sua famiglia vanno avanti. «E’ anche una questione culturale». Una coltura di nicchia, insomma, prodotta e consumata localmente. «E’ tutta una questione di trovare la varietà giusta, con la giusta tecnica di produzione – spiega l’esperto di agricoltura biologica, ambiente ed agrobiodiversità, Stefano Tellarini – e in Emilia Romagna la varietà adatta è il cardo gigante di Romagna, coltivato con il sistema dell’interramento, che fa diventare il gambo bianco e lo rende più tenero e dolce. Una tipologia che ha fatto la sua comparsa ufficiale intorno agli anni Cinquanta». Ma noi siamo terra di confine e sulle nostre tavole arriva anche il cardo di fossa bolognese, un’altra storica produzione a consumo invernale delle campagne vicine che veniva consumato fresco in pinzimonio. Una coltura in pericolo di estinzione, visto che ormai sono in pochissimi a portarla avanti. Tra questi, l’ozzanese Mauro Gualandi, titolare dell’omonima azienda agricola, fondata oltre un secolo fa dal bisnonno Giovanni. «Per noi ormai è una tradizione di famiglia – ci spiega -. Ogni anno trapianto circa 4.500 cardi, della varietà bolognese Centofoglie. Quest’anno la produzione è stata ritardata dal fatto che a novembre, quando era il momento di mettere le piante in trincea, pioveva sempre».

La trincea in questione è una fossa di circa 80 centimetri di profondità, dove i fusti vengono collocati in verticale e coperti con un telo nero, per proteggerli dalla luce e dal freddo; in questo modo possono vegetare fino a metà febbraio. Una pratica d’altri tempi. Proprio per sensibilizzare sulla tutela e sul recupero di uno dei prodotti agricoli che hanno contribuito a impreziosire la biodiversità emiliana, la Fondazione bolognese Fico per l’educazione alimentare e alla sostenibilità ha recentemente organizzato a Bologna nello Spazio 118 Eataly World di via Paolo Canali 8, una mostra fotografica dal titolo Archeologia orticola: il salvataggio del cardo di fossa bolognese, visitabile fino al 20 febbraio. Far vedere le fasi di lavorazione, dalla selezione dei semi, che veniva direttamente curata dai contadini, alla vendita dei prodotti può invogliare, perché no, anche il suo consumo. (al.gi.)

L”articolo completo è su «sabato sera» del 7 febbraio

Nella foto il cardo romagnolo

Alla scoperta del cardo, delle sue varietà e dei produttori che lo coltivano da Ponticelli a Ozzano Emilia

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