Cambio al vertice di Cevico, Santandrea lascia la presidenza (intervista)
“Lascio un’impresa con ottimi bilanci, un nuovo presidente giovane e preparato con al suo fianco una squadra di altissimo livello con un grande spirito cooperativo. Sapranno fare benissimo, spero molto meglio di me: sarà, voltandomi indietro, la soddisfazione maggiore. Dopo 12 anni era semplicemente il momento giusto”. Ruenza Santandrea, faentina, 63 anni, lascia la presidenza come ha gestito Cevico, con lo sguardo volto al futuro. Al suo posto è stato eletto l’imolese Marco Nannetti. La ex numero uno rimane comunque alla guida del settore vino dell’Alleanza delle cooperative italiane.
Arrivata ai vertici di una realtà che vendeva quasi solo vino sfuso – perché in Romagna si era sempre fatto così, specie in pianura -, ringraziò il suo predecessore per averle insegnato tanto sul mondo della cooperazione vitivinicola, si rimboccò le maniche e in poco più di un decennio ha ribaltato dalla testa ai piedi il consorzio, facendo diventare Cevico una delle punte di diamante del mondo dell’enologia: un’impresa che imbottiglia la stragrande maggioranza del suo vino dopo aver accompagnato i coltivatori in un cambio di mentalità epocale che li ha portati a ragionare sulla qualità delle uve e non più sulla quantità.
Manager decisa, preparata, in molti la descrivono dura e leale nelle trattative. Nonostante questo approccio deciso, è stata capace di creare una squadra solida e di qualità “con la quale mi sono confrontata, in maniera aperta, ogni giorno. Avevamo punti di vista diversi, ma tutti un obiettivo comune: ossia valorizzare il sudore dei nostri soci”. E’ fatica strappare a Santandrea un bilancio, ma questa volta fa (quasi) un’eccezione.
In questi dodici anni ha messo le ali alla cooperativa. Quali considera i principali successi?
“Chiunque può vedere le cose fatte e ognuno le giudica come vuole. Io preferisco guardare alle cose che non sono riuscita a fare, a partire dalla percezione che si ha della viticoltura romagnola. Qualcosa comunque sta cambiando in questo senso: basta guardare quanti vini in più troviamo nei ristoranti, a partire da quelli della Riviera, dove fino a dieci anni fa era quasi bandito. Si è lavorato sulla cifra stilistica dei nostri principali vitigni e questo ha pagato. Mi fa estremamente piacere che il vino romagnolo sia quello cresciuto maggiormente, dopo Puglia e Sicilia, nei primi otto mesi dell’anno”.
Che Cevico lascia?
“Una cooperativa ben strutturata patrimonialmente, nella classe dirigente, nell’idea di mercato e capace di portare avanti un concetto di sostenibilità a 360°”.
Nel 2005 era però un’altra impresa. Tanto vino sfuso e poca redditività. Come ha cambiato il paradigma?
“E’ stato un processo lento. Abbiamo lavorato molto coi nostri soci, che hanno il grande merito di essersi fatti coinvolgere e di aver creduto in un cambio difficile. Noi rappresentiamo i più piccoli vignaioli italiani: i soci delle nostre cantine hanno 1,7 ettari di vigneto a testa. L’obiettivo era massimizzare il valore da corrispondere loro. Lo abbiamo fatto puntando sull’imbottigliato, in particolar modo per l’estero. Abbiamo investito in agronomi che hanno scelto insieme ai nostri soci le zone più vocate per ogni tipo di vitigno. Insieme al lavoro in cantina ci ha permesso di ottenere parecchi premi e riconoscimenti (l’ultimo i tre bicchieri del Gambero Rosso per il sangiovese delle Rocche Malatestiane, Ndr) per la qualità che siamo in grado di esprimere. Dall’altro lato abbiamo lavorato molto sull’aspetto commerciale per far capire questa qualità: su questo versante le difficoltà maggiori le abbiamo avute in Italia dove, a differenza dell’estero, si pensa che chi fa brick non sappia fare buon vino. Oltralpe invece viene visto come un servizio aggiuntivo, come dovrebbe essere. Comunque nel 2005 ereditai la guida di un’impresa che era stata capace di essere innovativa fin dalla sua nascita, che si basava sulla non concorrenza con le cooperative socie del consorzio, che tuttora conferiscono a noi il 100 per cento del prodotto”.
La cosa che la rende più orgogliosa?
“Aver messo Cevico in condizione di avere una grande squadra che la guiderà in futuro. Le cooperative hanno il dovere di pensare al ricambio dei propri vertici. La gioia più grande sarà vedere crescere questa impresa nei prossimi anni”.
In che mani lascia Cevico?
“Marco (Nannetti, Ndr) sarà un ottimo presidente perché è una persona preparata nella gestione, ma ha anche una profonda consapevolezza su che cosa significa essere una cooperativa”.
Come si è arrivati al suo nome?
“Mi fu segnalato dall’allora responsabile degli affari legali, Claudio Sangiorgi, come suo possibile successore. “E’ un ragazzo in gamba, fai una chiacchierata con lui”, mi disse. Era molto ferrato nella legislazione vitivinicola, ma mostrò subito doti importanti di relazione con le persone e una corretta idea della cooperazione. Ci ha messo passione, competenza e idee, facendosi ben volere e stimare da soci, consiglieri e dipendenti di Cevico. Si è autoselezionato. A me ha sempre fatto comodo avere al fianco persone in gamba, capaci di risolvere problemi e non crearli: l’ho sempre considerato un enorme valore aggiunto, anche se il confronto è sicuramente più faticoso”.
Che farà da grande?
“Tante bellissime cose. Per il momento rimango coordinatrice del settore vino dell’Aci dove c’è tanto lavoro da fare. Abbiamo appena concluso il primo Festival del vino cooperativo a Milano: è stato un successo oltre ad ogni mia aspettativa, con tanti giovani interessati e un format all’insegna della libertà del gusto. E’ emersa la nostra vera anima: piccoli in vigna e grandi sul mercato. Inoltre – conclude Ruenza Santandrea – in Cevico mi hanno chiesto di seguire ancora alcuni progetti speciali e non c’è motivo di non farlo”.
Nella foto: Ruenza Santandrea