Max Mascia, chef del ristorante San Domenico di Imola, tra ricordi, idee e nuovi progetti
Durante la chiacchierata utilizza sempre il termine cuoco e mai chef che invece potrebbe utilizzare a ragion veduta in quanto, secondo il significato comune, quest”ultimo comprende anche una più ampia responsabilità di gestione, elaborazione e organizzazione: l”uso del termine cuoco, però, è a livello emotivo molto più bello, ha il sapore di casa e delle cose belle di una volta, della semplicità e della concretezza, della concentrazione e del calore, di quell”attenzione tutta «familiare» che ti fa pensare alle nonne e a quei piatti che da adulto evochi in un istante come piccolo eden del sapore. Ed è significativo, quindi, della filosofia di Massimiliano Mascia, cuoco (chef) del ristorante San Domenico di Imola: semplicità, tradizione, cura, attenzione alle piccole cose così come a quelle grandi, legami. Proprio i legami sono una parte importante della storia del trentacinquenne imolese così come del ristorante stellato: legami con la tradizione (il San Domenico venne fondato da Gianluigi Morini nel 1970 avendo in mente l”attenzione alla cura e all”idea della «cucina di casa»), legami di famiglia (Max è il nipote di Valentino Marcattilii, executive chef del San Domenico, da anni anima della cucina di via Sacchi a Imola, e di Natale Marcattilii, maitre che dirige la sala e «coccola» i clienti), legami con il territorio (a Imola il San Domenico è considerato «un”istituzione»), legami con la terra (i prodotti del luogo sono la base di quella che è una cucina fondata sulle materie prime), legami con il futuro (l”innovazione e l”attenzione al nuovo sono fondamentali nella gestione del ristorante).
Ma come nasce un cuoco da due stelle Michelin? «Ho avuto la passione per questo mestiere sin da bambino – racconta Mascia -. Mia mamma è la sorella di Valentino e Natale, per cui sono cresciuto respirando l”aria del San Domenico. Ricordo che a fine anni Ottanta, quando si aprì il San Domenico a New York, Valentino tornava a casa con oggetti-ricordo tipici americani, come una bellissima palla da baseball, che mi avevano fatto venire il mito dell”America! Trent”anni fa fare il cuoco non era così in vista come oggi, ma io avevo già la passione: basta pensare che nella recita del presepe di prima elementare mi ero vestito da cuoco! Poi ho sviluppato quello che era un gioco e un sogno con lo studio e con il lavoro».
Tanto impegno e… tanti chilometri. «Dal ”97, quando avevo 14 anni, ho frequentato la scuola alberghiera a Castel San Pietro, e contemporaneamente andavo al San Domenico nei weekend e nelle vacanze, fino a quando mi sono diplomato nel 2002. Poi ho cominciato a lavorare nel ristorante e nel 2003-2009 sono “andato in giro”. Nel 2003 ho lavorato a New York in un ristorante italiano con una stella Michelin, l”Osteria Fiamma. È stato un lavoro impegnativo, con 250 persone a cena ogni sera. Ho imparato il ritmo, l”organizzazione, l”autonomia. Lì sono nate le mie prime idee, soprattutto per eventi e iniziative, formule che poi abbiamo inserito anche noi prendendovi spunto. Nel 2004 sono stato in Sicilia al Ristorante Mulinazzo, un ristorante di grande tradizione con due stelle Michelin: venivano utilizzate grandi materie prime, di cui la Sicilia è ricchissima, dalla verdura al pesce alla frutta, ma anche alle carni grazie alla tradizione dell”entroterra… Nel 2005 ero a Viareggio al Ristorante Romano, un ristorante di famiglia, con più di 50 anni di storia, un stella, tra i tre o quattro migliori ristoranti di pesce d”Italia. Una cucina semplice con assoluta attenzione alla materia prima, un posto piccolo che mi è servito per capire come funzionava, avendo dimensioni simili al nostro. Nel 2006 ho lavorato da Vissani, grande cucina a due stelle, ed erano gli anni in cui era all”apice. Nel 2007 sono stato in Francia, alla Bastide Saint Antoine (2 stelle), nelle colline che sovrastano Cannes, in Costa Azzurra dove sono fondamentali le erbe, i frutti… per fare questo mestiere bisogna immergersi prima o poi nella loro cultura della ristorazione e soprattutto del servizio. Il servizio, del resto, è ciò che fa la differenza perché le persone vogliono sentirsi coccolate, e su dieci tavoli non ce n”è uno uguale all”altro, perciò il cliente va conosciuto e capito immediatamente, al volo. Infine, nel 2009 ho lavorato a Parigi da Alain Ducasse al Plaza Athenée (3 stelle) , che è come andare a giocare nel Real Madrid. Per il tipo di cucina nostra è il miglior ristorante del mondo: classica con mano francese… a cui poi si fanno le dovute modifiche…».
Quindi il ritorno a casa, sempre «in serie A». «Nel 2010 sono tornato al San Domenico e piano piano sono cresciuto. Mi piace molto stare in cucina, ma amo anche la parte imprenditoriale: dobbiamo lavorare bene sia dal punto di vista culinario che da quello gestionale. Poi i ristoranti vendono anche immagine, e questo significa girare, fare esperienze, aprirsi alle idee, alle novità, sperimentare. Quest”anno, ad esempio, a luglio e agosto al Forte Village resort in Sardegna abbiamo la Terrazza San Domenico: dato che ci sono ospiti che arrivano da tutto il mondo, è un modo importante di far conoscere all”estero la nostra cucina (piadina, tortellini, uovo in raviolo…). La seguiamo direttamente io e Valentino alternandoci, e in cucina ci sono cinque ragazzi che vengono da qui, dalla “sede” imolese».
L”intervista completa a Max Mascia è sul «sabato sera» in edicola da giovedì 23 agosto
Nella foto Massimiliano Mascia