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Sport 17 Settembre 2019

Mountain bike, l'impresa del medicinese Stefano Romualdi al Tour Divide. L'INTERVISTA

I ricordi sono sedimentati, nel frattempo nuove pedalate sono iniziate e finite. Le automobili da riparare, martoriate dalla grandine, hanno preso il posto delle pedalate sulle Montagne Rocciose. Insomma, è passato un po’ di tempo dalla seconda avventura al «Tour Divide» di Stefano Romualdi che, tre mesi dopo, lo ripercorre con la mente e con la consapevolezza che difficilmente tornerà a cimentarsi su quei 4.400 chilometri tra Banff, in Canada (partenza il 14 giugno) e Antelope Wells, giù ai confini tra Usa e Messico, dove il 39enne medicinese è giunto 16 giorni, 17 ore e 3 minuti dopo, chiudendo al settimo posto (il vincitore è stato Chris Seistrup, in 15 giorni e 11 ore). Un anno fa Stefano aveva percorso la stessa distanza in 18 giorni e 15 ore, chiudendo sempre nella top-ten. «Ci sono state tante differenze tra le due esperienze. La prima che mi viene in mente, e che voglio ricordare, è quella della nostalgia di casa, che mi ha colpito al cuore per quasi tutta la prima settimana».

Nel 2018 non era stata così violenta?

«Probabilmente ha inciso il fatto di pedalare in posti già visti. L’anno scorso la curiosità di esplorare un mondo sconosciuto aveva prevalso sulle emozioni più nascoste».

Pedalavi e piangevi.

«Volevo sottolineare un altro fattore che mi ha scatenato il terremoto interiore. Il fatto di avere avuto problemi alla bici e di farmi perdere posizioni nei primi giorni, a causa di un ramo che si è infilato nella ruota posteriore rompendo un raggio, mi ha fatto aumentare le lacrime. E tutte le volte che chiamavo a casa, il nodo alla gola, il cosiddetto magone, diventava sempre più asfissiante e mi demoralizzava».

Pian piano però i chilometri diminuivano e cresceva l’autostima.

«Il vero scatto l’ho avvertito dopo la tempesta di neve che mi ha bloccato per un giorno intero. Essere riusciti a superare quell’ostacolo, a prima vista impossibile, mi ha dato le motivazioni giuste per arrivare fino al traguardo».

Qual è stato il tuo primo pensiero dopo l’arrivo?

«Niente braccia alzate, nessun comitato di accoglienza. Solo il pensiero di cambiare il biglietto di ritorno per arrivare a Medicina il più presto possibile. Sapevo di essere andato meglio dell’anno scorso, ma non mi sono preoccupato più di tanto della posizione finale e neppure del tempo che ci avevo messo. Forse la più grande soddisfazione è stata arrivare subito dietro all’inglese Josh Ibbett (ad una sola ora di differenza, nda), che è sempre stato il mio campione di riferimento». (p.z.)

L”articolo completo su «sabato sera» del 12 settembre.

Nella foto: Stefano Romualdi alla partenza del Tour Divide

Mountain bike, l'impresa del medicinese Stefano Romualdi al Tour Divide. L'INTERVISTA
Sport 3 Luglio 2019

Il ciclista medicinese Stefano Romualdi ha concluso alla grande il suo secondo «Tour Divide»

Ce l’ha fatta, ancora una volta. Stefano Romualdi è riuscito a concludere il suo secondo «Tour Divide», 4.418 chilometri in bicicletta su strade sterrate dal Canada fino ai confini del Messico, un percorso infinito e durissimo, per le asperità del terreno, per le salite fino a 3.500 metri, per il clima, passando da temperature polari fino al caldo torrido del deserto. Nel 2018 chiuse al 9º posto, impiegando 18 giorni, 15 ore e 2 minuti, ma stavolta è addirittura riuscito a superarsi, nonostante le numerose difficoltà incontrate, che ci spiegherà quando andremo ad intervistarlo, nelle prossime settimane. Innanzitutto la posizione finale, cioè la settima, poi il tempo impiegato, 16 giorni e 17 ore, dunque riuscendo a limare ben due giorni interi, una cosa clamorosa per un atleta con un fisico strepitoso, una forza mentale rarissima, ma tutto sommato un dilettante della specialità, che nella vita di tutti i giorni fa il carrozziere nell’azienda di famiglia. Senza dimenticare che, a causa di una bufera di neve, ha praticamente saltato un giorno di pedali.

L’avventura, oltre al sito ufficiale «trackleaders», che ne tracciava la posizione in tempo reale grazie al Gps in dotazione, è stata raccontata minuziosamente da «Locomotive Cycles», il suo sponsor, che gli ha fornito una mountain bike in titanio. Continui «post» a tutte le ore, video, foto che hanno seguito quasi ogni colpo di pedale del 38enne medicinese. Pare che per i prossimi due anni non potrà più attraversare l’oceano Atlantico per altre sfide alla corsa più dura del mondo, a causa di impegni familiari, quindi l’impresa resterà scolpita finché non deciderà di riprovarci, cosa che gli starà già frullando nella mente fin da lunedì 1 luglio alle 8 (orario italiano), quando ha tagliato il traguardo. (p.z.)

Nella foto: Stefano Romualdi

Il ciclista medicinese Stefano Romualdi ha concluso alla grande il suo secondo «Tour Divide»
Sport 12 Giugno 2019

Mountain bike, sensazioni ed aspettative del medicinese Stefano Romualdi alla vigilia del «Tour divide 2019»

C’è chi soffre di mal d’Africa: una volta visitato il continente nero, non resiste al richiamo di tornarci. I brasiliani sono noti per la loro «saudade»: si intristiscono quando sono lontani da Copacabana e perdono tutta la loro proverbiale vitalità. Stefano Romualdi va controcorrente: il 38enne biker medicinese non può stare senza l’America. Dopo avere vissuto nel 2018 in sella alla sua mountain bike per 18 giorni, 15 ore e 2 minuti, ha deciso di tornarci, per riprovare ad attraversare il continente da nord a sud, partendo domani, venerdì 14 giugno, da Banff (in Canada) e cercando di arrivare integro ad Antelope Wells, nel New Mexico. Passando dalla neve al caldo del deserto in meno di tre settimane. Insomma, ci risiamo: stiamo parlando del famosissimo «Tour divide», 2.800 miglia (cioè 4.500 chilometri) in bicicletta, fermandosi solo il tempo necessario per mangiare e dormire. «Tutti mi avevano detto che, una volta terminata quell’avventura, avrei dovuto staccare per un po’ di tempo. In realtà per me non è stato così: anzi, quando arrivai nel Nuovo Messico, se non avessi avuto dei problemi ai piedi, sarei ripartito il giorno dopo».

Quindi è dallo scorso anno che mediti di riprovarci.

«Fin da subito. Poi la decisione definitiva è più recente, diciamo da gennaio, quando ho comprato il biglietto aereo, anche grazie al supporto di Locomotive Cycles e della ditta toscana Aepicasport per il vestiario e l’attrezzatura. Lo sponsor principale in ogni caso resto io, dunque gli ultimi tentennamenti li ho spazzati via 15 giorni fa, quando ho risolto gli ultimi problemi col lavoro e la famiglia». (p.z.)

L”articolo completo su «sabato sera» del 6 giugno.

Nella foto: il medicinese Stefano Romualdi al «Tour divide 2018»

Mountain bike, sensazioni ed aspettative del medicinese Stefano Romualdi alla vigilia del «Tour divide 2019»
Sport 28 Maggio 2019

Mountain Bike, il medicinese Stefano Romualdi ci riprova: dal 14 giugno inizierà il suo secondo «Tour Divide»

Stefano Romualdi ci riprova. In giugno tornerà in America per partecipare al «Tour Divide 2019», che lo scorso anno terminò in 18 giorni, 15 ore e 2 minuti, percorrendo 2.800 miglia (cioè 4.500 chilometri) in mountain bike. L’evento, che non è una gara in senso stretto, partirà venerdì 14 giugno da Banff, in Canada, per concludersi nel Nuovo Messico. Il 38enne medicinese negli ultimi mesi si è già riscaldato a dovere, partecipando in marzo al «Volterra Trail», per poi farsi un giretto di 700 chilometri dalla sua Medicina fino a Monaco di Baviera a metà aprile. Poi il «Carso Trail» a metà maggio, con una caduta che poteva avere sviluppi ben peggiori. Gli è infatti caduto un grosso ramo davanti alla bici, infilandosi nella ruota anteriore e facendolo cappottare.

Ecco come ha presentato su Facebook la sua voglia di tornare aldilà dell’oceano. «Dicono che da certi viaggi non si torni mai completamente ed in effetti penso sia così: lo scorso anno ho preso parte alla più grande competizione di endurance del mondo quasi per gioco, accorgendomi però che essa ha segnato per sempre la mia esperienza da biker. Da quando sono tornato in Italia infatti, non ho mai smesso di pensare alle emozioni percepite, ma anche ai piccoli errori dovuti alla mia inesperienza da esordiente, che non mi hanno permesso di dare il massimo. Quest’anno vorrei quindi cercare di terminarlo per la seconda volta e magari migliorare il mio tempo finale. Non sarà un’impresa facile, ma non vedo l’ora di partecipare a questa sfida, che è solo ed esclusivamente con me stesso». (r.s.)

Nella foto: Stefano Romualdi

Mountain Bike, il medicinese Stefano Romualdi ci riprova: dal 14 giugno inizierà il suo secondo «Tour Divide»
Sport 9 Settembre 2018

Il medicinese Stefano Romualdi racconta la sua avventura americana in mountain bike al «Great Divide»

A due passi dal cimitero c’è la carrozzeria di Stefano Romualdi, ma la cosa più curiosa è il nome della strada. Via della Resistenza. Sì, lo sappiamo che si riferisce a cose ben più serie, ma un ragazzo che ogni giorno lavora sotto una simile esortazione, forse si è fatto sedurre, anche inconsciamente. La «resistenza», quella con la «erre» minuscola, è una parte fondante della sua vita da 38enne in gran forma e lo ha dimostrato in giugno, quando è stato l’unico italiano a partecipare e a concludere «The great divide», 2.800 miglia (cioè 4.500 chilometri) in mountain bike, fermandosi solo il tempo necessario per rifocillarsi e dormicchiare.

Ha impiegato 18 giorni, 15 ore e 2 minuti per segare in due il nord America da nord a sud, partendo venerdì 8 giugno da Banff, in Canada e arrivando mercoledì 27 giugno ad Antelope Wells, nel New Mexico. Passando dal ghiaccio fino al sole più cocente in meno di tre settimane, tra l’altro piazzandosi al 9º posto, nonostante fosse la sua prima esperienza in un percorso che, tanto per rendersene conto, è di oltre 1.000 chilometri più lungo del Tour de France o del Giro d’Italia. «Vorrei che qualche ragazzo giovane iniziasse ad appassionarsi a questa disciplina così affascinante – ha detto Romualdi -. Bicicletta, zaino e via: non c’è mica bisogno di andare negli Stati Uniti per fare queste cose».

Come ci si prepara per una sfacchinata di 4.500 chilometri?

«Soprattutto a livello articolare. Corsa, palestra e, ovviamente, bicicletta. Il vero obiettivo non era quello di andare forte, bensì di arrivare alla fine. Dalla primavera in poi ho fatto qualche pedalata notturna perché, insieme al mio preparatore, avevamo deciso di scombussolare un po’ il metabolismo. Una volta, ad esempio, sono andato fino a Torino per vedere giocare mio figlio…».

Il bagaglio ridotto al minimo è un obbligo, per chi se lo deve trascinare lungo la strada.

«Abbiamo imballato la bicicletta con le borse da telaio, mentre i vestiti del viaggio li ho buttati via dopo l’atterraggio. Bisogna limitarsi all’essenziale, come il sacco a pelo, il materassino, il bivy bag e lo spazzolino da denti. Come abbigliamento avevo una tenuta estiva da ciclismo, due divise antiacqua, una maglia termica a maniche lunghe, guanti e scarpette».

Non c’è una partenza vera e propria, giusto?

«L’appuntamento era alle 8 di mattina di venerdì 8 giugno, circa 140 atleti, ma in realtà ognuno inizia a pedalare quando vuole, un po’ come nel Cammino di Santiago. Alla fine siamo arrivati in una sessantina».

C’è un metronomo interno che scandisce le tappe?

«A parte la stanchezza, le due variabili fondamentali sono l’acqua e il cibo. Bisogna essere attrezzati a percorrere 300 chilometri nel nulla e appena si trova un luogo di ristoro non si può ignorare. Alcune volte mi sono addormentato alle 7 di sera e sono ripartito 3 ore dopo. Non sapendo l’inglese, in alcuni casi mi sono fatto sfuggire dei punti di rifornimento gestiti da guardie forestali, oppure dei pozzi nel deserto. Insomma, ho pagato l’ingenuità del principiante».

Come ti alimentavi?

«Coi burritos surgelati: fagioli e patate, oppure carne e patate. Infilavo il sacchetto nella schiena e dopo un po’ di microonde corporeo erano pronti da mangiare. Cercavo di evitare con cura tutte quelle salse che gli americani cospargono ovunque».

Dal gelo canadese ai 40 gradi del deserto. In mezzo, qualche colpo di sfortuna non poteva mancare.

«La prima foratura l’ho avuta circa a metà percorso. Mi sentivo bene, stavo proseguendo assieme ad un ragazzo belga, ma ci siamo dovuti dividere. Ho atteso l’apertura di un negozio specializzato, ho rimesso a posto la bici ma due giorni dopo ho tagliato nuovamente il copertone, di notte, su un terreno ghiaiato. Nonostante il faro, che fa luce come un’automobile, non mi sono reso conto di come sia successo».

Entrare tra i primi 10 all’esordio è stata l’impresa dentro l’impresa.

«Come ho detto, siamo partiti in 140, quindi non è male. Quelli che sono arrivati davanti a me? Di sicuro vanno mediamente più forte, ma conta tanto anche l’organizzazione. Se io impiegavo 2 ore per trovare un motel, ho visto gente col panino in una mano, il Gps nell’altra e il telefono davanti per le previsioni meteo. Tutto tempo risparmiato».

Hai già pensato di riprovarci?

«La tentazione di riprovarci ovviamente c’è, però occorre tempo, minimo 25 giorni, e una organizzazione capillare. Ma ci sono anche altre sfide da raccogliere. Mi piacerebbe andare a fare un trail in Scozia e mi sono informato pure per il Marocco, anche se non mi convince l’organizzazione».

p.z.

L”intervista completa e tante belle immagini su «sabato sera» del 6 settembre.

Nella foto: Stefano Romualdi sul percorso

Il medicinese Stefano Romualdi racconta la sua avventura americana in mountain bike al «Great Divide»

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