Le antiche tradizioni del mese di novembre, tra festività religiose, credenze popolari e piatti tipici
Il primo giorno di novembre, Ognissanti, è una grande festività religiosa dedicata a tutti i santi, ma nella tradizione pagana (Romagna, terra celtica) si festeggiava il Capodanno, col ritorno sulla terra dei defunti. I Celti erano un popolo dedito all’agricoltura e alla pastorizia per cui la fine dell’estate, con la fine dei raccolti, diventava anche la fine dell’anno: la fine di una stagione per iniziarne una nuova: l’inizio dell’anno nel calendario contadino.
Quando la Chiesa impose le proprie regole e il proprio calendario liturgico, dedicò il giorno 1 ai Santi e il 2 alla commemorazione dei defunti. E’ rimasta però l’usanza pagana di fare opere di bene in memoria dei defunti e cioè la «fava dei morti». Un tempo si cuocevano fave, ceci, fagioli e lupini da mangiare in famiglia e da offrire ai poveri che quel giorno chiedevano l’elemosina, la carité di mort, e che in cambio dicevano preghiere per i defunti della famiglia.
La mattina del giorno dei morti i bambini dovevano alzarsi presto per andare al cimitero, perché dopo i genitori dovevano lavorare. Partivano da casa che era ancora buio, con tanta voglia di dormire ancora, ma li consolava l’idea che tra le bancarelle dei fiori c’era spesso qualcuno che vendeva castagne, brustulline e lupini. Nelle campagne c’era poi un’usanza molto antica, quella di rifare i letti con lenzuola pulite perché i defunti, così voleva la tradizione, per un giorno sarebbero ritornati sulla terra fra i loro cari, sarebbero ritornati a riposare nei loro letti.
Sarebbero ritornati a visitare le loro case e allora occorreva lasciare anche la tavola apparecchiata e il fuoco acceso, perché potessero mangiare e riscaldarsi. I Celti credevano infatti che alla vigilia di ogni nuovo anno il Signore della Morte, il Principe delle Tenebre, chiamasse a sé tutti gli spiriti dei morti e che tutte le leggi dello spazio e del tempo fossero sospese e quindi fosse permesso al mondo degli spiriti di unirsi al mondo dei viventi. Un’antica usanza di questo periodo dell’anno è dunque quella delle «fave dei morti», che si riallaccia probabilmente alla cultura dei Celti. Ma perché proprio il nome «fava»? Che cosa ha a che fare questa pianta erbacea leguminosa, coi dolci e con quei biscotti che troviamo in questi giorni nelle botteghe dei fornai, nelle bancarelle dei mercati e naturalmente nelle case dove ancora vi è l’usanza di fare i dolci?
La fava è una specie erbacea, originaria dell’Asia occidentale, coltivata per i semi, utilizzati a scopo alimentare e consumati soprattutto freschi, crudi o cotti. E’ una pianta annuale diffusa anche nella pianura Padana, seminata generalmente in marzo e raccolta in estate. Secondo gli antichi, le fave, quelle vere, i semi commestibili di color verdastro, contenevano le anime dei morti, quindi erano cibo di rito nella ricorrenza. Presso i Romani le fave erano sempre presenti nei conviti funebri, cotte nell’acqua con l’osso di prosciutto. La fava si offriva alle Parche, a Plutone e a Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstiziose. I fiori della fava erano considerati un segno lugubre e le fave, i semi, soprattutto quelli neri, erano considerati un’offerta funebre. Gli Egizi invece consideravano questo legume cosa immonda, quindi non la mangiavano e nemmeno osavano toccarla. (ve.mo.)
L”articolo completo è su «sabato sera» dell”8 novembre