Cottarelli fa il pieno a Imola. E sprona il Governo: «Il punto da cui partire? Ridurre la burocrazia»
«Ormai di professione sono un predicatore, che va in giro per l’Italia e in tv per dire che ognuno può fare qualcosa per cambiare l’Italia». Così si definisce oggi, in tono scherzoso, Carlo Cottarelli, volto noto agli italiani soprattutto per essere stato, tra il 2013 e il 2014, commissario per la revisione della Spesa pubblica durante il Governo Letta, ruoloche gli è valso l’epiteto di «Mister forbici», affibbiato da parte della stampa.
Davvero in tanti lo scorso 2 ottobre sono andati ad ascoltarlo a palazzo Sersanti, dove il Centro studi Luigi Einaudi, incollaborazione con l’associazione Giovanni Codronchi Argeli e con il contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Imola, lo aveva invitato a parlare dei «sette peccati capitali dell’economia italiana», titolo e tema del libro da lui pubblicato nel 2018.
Cottarelli, quali sono i sette peccati capitali dell’economia italiana di cui parla nel suo libro?
«Evasione fiscale, corruzione, burocrazia, lentezza della giustizia, crollo demografico, divario nello sviluppo tra nord e sud del Paese, difficoltà di convivenza con l’euro. Quella dell’euro è una grossa polemica. Io continuo a pensare che l’Italia debba rimanere nell’euro, che può crescere nell’euro, ma abbiamo avuto qualche difficoltà di adattamento, non perché siamo geneticamente incompatibili con la moneta unica europea, ma perché, dopo l’entrata nell’euro, per alcuni anni abbiamo seguito delle politiche economiche sbagliate».
Quali le strade per risolvere alcuni dei problemi che ha citato?
«Il problema principale che dobbiamo risolvere è quello di tornare a crescere. Sono vent’anni che non cresciamo, abbiamo lo stesso reddito pro capite che avevamo vent’anni fa, in termini di potere di acquisto. Come si fa a risolverequesta situazione? Io credo che ci vogliano le “famose” riforme strutturali (e qui si lascia sfuggire un sorriso, Ndr). Ma quali devono essere queste riforme? Io ne indicherei tre, che sono poi quelle che indicano gli imprenditori, perché, se si facessero, loro investirebbero di più. Primo: abbassare la pressione fiscale, però con fonti di finanziamento stabili, non prendendo soldi a prestito. Tagliare le tasse finanziandole a debito è sbagliato. Occorre trovare fonti di finanziamento permanenti che possono derivare dalla riduzione dell’evasione fiscale, che è ancora tanta, oppure da risparmi sul fronte della spesa. Secondo: la riduzione della burocrazia, che è un peso tremendo per l’intera economia italiana. Terzo: ridurre i ritardi nella giustizia civile, renderla più veloce, ci vogliono ancora otto anni per concludere un processo civile che arriva al terzo grado di giudizio».
Se oggi avesse pieni poteri, dove interverrebbe in primis?
«Partirei dalla burocrazia. Occorre ridurre tutte queste regole e queste carte, che tra l’altro costano moltissimo alle Piccole e medie imprese: circa 33 miliardi all’anno, spesi per compilare moduli, senza contare i tempi di attesa e i progetti che non si riescono a realizzare proprio perché la burocrazia intralcia. Quello sarebbe il punto da cui partire.Non una delle tante cose da fare, ma “La priorità”». Come mai in Italia non riusciamo ad affrontare questi problemi?«E’ impopolare affrontare questi problemi seriamente. Ad esempio, tutti dicono di voler ridurre la burocrazia, ma non è mai stata vista come una priorità da chi sta al Governo. E’ più facile vincere le elezioni mandando in pensione tre anni prima o dando un reddito anche senza lavorare. Si preferisce fare questo, invece di affrontare i problemi più difficili,che però sono quelli che a lungo termine farebbero crescere l’economia italiana». (lo. mi.)
L”intervista completa sul numero del Sabato sera del 10 ottobre
Fotografia di Marco Isola/Isolapress