Smart working, lo psicologo Fabio Cola e i rischi da stress: «Separare nettamente vita lavorativa e domestica»
Si fa presto a dire smart working. Prima della pandemia si chiamava telelavoro. Ma veniva associato, ingiustamente, alle vendite via telefono. Ora abbiamo imparato a conoscere un termine più glamour. Che però ha non poche conseguenze sul piano mentale e sull’equilibrio psicofisico del lavoratore. Niente di traumatico o paragonabile al lavoro in miniera, beninteso. Ma occorre affrontarlo con serietà. E professionalità. Solitudine, ansia, sensi di colpa, burn out, alternanza pausa/lavoro sballata, ma anche disturbi del sonno, poca cura di se stessi, perenne tentazione del frigorifero (eh già, anche quella è un’insidia nel lavoro da casa) sono solo alcuni degli effetti dello smart working, iniziato spesso e volentieri senza preavviso, come inaspettata è stata l’emergenza Covid tuttora in essere.
Ne abbiamo parlato con Fabio Cola, 58 anni, psicologo, consulente e formatore, si occupa d’interventi sul tema della relazione interpersonale all’interno di aziende, ospedali, scuole, associazioni. Per l’associazione imolese Tavolo 81, lo scorso giugno, ha tenuto un webinar (visibile sulla pagina Facebook «Tavolo81 Imola»), in cui ha proposto una riflessione su quanto accaduto durante la quarantena, dal punto di vista personale, emotivo, relazionale e simbolico.
Dottore, come se ne esce?
«Il mio consiglio è separare nettamente la vita lavorativa dalla vita domestica. Se possibile, ricavarsi una stanza solo ad uso ufficio, un’altra per le attività quotidiane. Porre chiari orari di lavoro, ad esempio dalle 9 alle 17. A quel punto staccare davvero. Purtroppo in famiglia le distrazioni sono tante, come le cose da fare, da aggiustare, la spazzatura da vuotare, e così via». (ti.fu.)
Ulteriori approfondimenti su «sabato sera» del 5 novembre.
Nella foto: a sinistra, lo psicologo Fabio Cola