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Carezze
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10 Aprile 2021

Carezze narrative e altri consigli della «storiatrice» Elisa Mazzoli

Scrittrice, narratrice, traduttrice, formatrice, consulente editoriale, mamma; sono questi i tanti volti di Elisa Mazzoli, autrice di libri per l’infanzia, e non, di Cesenatico. Una volta uno dei suoi lettori l’ha definita «storiatrice». In effetti inventa storie per ogni situazione. Con Bacchilega Junior ha vinto il premio nazionale Nati Per Leggere 2018 con Il viaggio di Piedino. La sua più recente pubblicazione con Bacchilega Junior è Lupo Luca ha il salvagente, terza avventura della saga di Lupo Luca dopo Lupo Luca aveva i denti e Lupo Luca ha il naso rosso.
Questa è  la sua riflessione sulla situazione che stiamo vivendo, un contributo pubblicato sul settimanale «sabato sera» dell’8 aprile 2021.

Forse il problema non è il perché, ma il perché del perché. «Perché non posso abbracciare i miei nonni?», «Perché non posso andare a giocare a casa degli amici?», «Perché mi devo mettere la mascherina ogni volta che esco?», «Perché mi devo sempre disinfettare le mani?», «Perché la scuola è chiusa?». E fin qui ci siamo, la risposta a questo perché c’è, ce l’abbiamo e la comunichiamo: «Perché c’è il Covid-19, un nuovo virus. Al microscopio si vede che questo virus è fatto di tante particelle con una specie di corona intorno. Il nostro corpo non lo conosce e non sa come combatterlo. Per i bambini non è un problema, ma per alcuni grandi lo è. Per non farlo arrivare da noi e per non farlo diffondere in giro dobbiamo fare così, e così, e così. Cerchiamo di fare del nostro meglio per non farlo arrivare. Poi può capitare che arrivi lo stesso, e allora affronteremo l’avventura».

«E perché c’è il covid?». Ecco, la risposta a questo quesito è più complessa, e non uguale per tutti. I bambini ci stupiscono sempre con le loro richieste di spiegazione sul perché del perché. Ci disorientano, ci spiazzano. Perché? Perché non si accontentano, ci chiedono di andare a fondo. Di essere chiari, sinceri. I bambini ci chiedono storie vere e coerenti. E noi forse pensiamo che non sia il momento, o non conosciamo il modo.

I nostri figli sono, per istinto d’amore e per natura, assetati di carezze narrative. Quando la cosa si fa seria si fanno seri anche loro. È l’ora della verità. E qui le opzioni sono due: o abbiamo le risposte ma non riteniamo che sia il caso di raccontarle ai più piccoli, oppure semplicemente non conosciamo le risposte, o la maniera per darle. Non troviamo le parole per dire. Non sappiamo come fare a raccontare. Non ci siamo preparati, non pensavamo fosse necessario. E quando cerchiamo frasi e storie adatte per rispondere, ci chiediamo se i nostri bambini saranno capaci di capirle, se avranno le competenze per accoglierle, se riusciranno ad affrontare una prova particolarmente ardua.

E noi? Ci siamo chiesti di noi? Perché ci preoccupiamo della loro innocente incompetenza (mentre spesso quando fanno la domanda sono pronti per la risposta), ma non della nostra incompetenza, che invece è, per la maggior parte delle volte, ingiustificata? Fino ad oggi la pandemia ha risparmiato i bambini, pur accerchiandoli con privazioni di libertà. Il Covid-19 non ha toccato la maggior parte delle persone, ma ha travolto drammaticamente la vita di tante famiglie. Ne parliamo negli incontri sulla mediazione narrativa per gli insegnanti, gli educatori e per le famiglie: ci vuole un piano di emergenza comunicativa e narrativa.

Il tempo e la fatica che stiamo vivendo fa risuonare un allarme fra gli altri: siamo carenti di comunicazione e di narrazioni. La malattia e la morte sono sempre esistite. Con quali narrazioni a proposito di queste tematiche accompagniamo i nostri figli? Narrare non è solo comunicare, non è solo affiancare. È fare un dono d’amore, pensare all’altro, prima che a noi. Il mondo è fermo, ma i bambini crescono, forti come la natura, prorompenti con la loro voglia di ridere e giocare, con la loro concretezza ma anche con i loro curiosi perché, e con i loro profondi perché dei perché.

Vogliamo o non vogliamo affrontare la vita con loro nel modo migliore possibile? Intendiamo trasmettere loro la verità, insieme alla maggiore serenità e fiducia possibile? Si può fare, cominciando con l’assunzione di un atteggiamento onesto nella relazione e nella comunicazione. In poche parole e in pratica, per quanto riguarda il mio campo di esperienza: raccontare una storia personale dei nostri bambini come capaci e competenti, e in generale narrare storie, favole, fiabe, cantare, leggere libri, giocare alle filastrocche, ascoltare musica insieme. Diventeremo insieme più sicuri, fiduciosi, resilienti, pronti ad affrontare periodi di sacrificio. In fondo si tratta di vivere semplicemente seguendo buone e sane abitudini. Nutrirsi bene (non solo di alimenti, ma anche di arte e cultura), amare e accogliere il prossimo, vivere il più possibile all’aria aperta e nella natura, rispettare l’ambiente. Imparare a imparare, raccontarsi e raccontare (non solo con le parole, anche in silenzio si può fare!). Non perdiamo tempo: facciamolo subito, documentiamoci, informiamoci, ricordiamoci la nenia, la cantilena della nonna o quella che ci ha insegnato un amico straniero nella sua lingua. Viviamo, anche da lontano, storie corali. Mandiamo messaggi, scambiamoci esperienze, recuperiamo ricordi, canzoni e sorrisi d’infanzia. Guardiamo insieme in silenzio il mare, il cielo, una collina, una montagna, un prato, un albero, una foglia, un animale, anche minuscolo.

«Non c’entra la sporcizia/ è un fatto di amicizia/ e testa dopo testa/ la scuola si è infestata/ la festa dei pidocchi è cominciata». Così inizia il testo della canzone che ho scritto circa vent’anni fa per l’etichetta discografica Pieronero. Si parlava dei fastidiosi parassiti che approfittavano della vicinanza e del contatto fra bambini per colonizzare sempre più teste.  Debole paragone narrativo, ma pur sempre paragone… se l’epidemia di pidocchi sembrava un flagello terribile, figuriamoci la pandemia da Coronavirus, cosa ben più seria. Che noi adulti affrontiamo con i nostri valori e strumenti, le nostre paure, le nostre speranze e visioni del mondo. E i bambini con noi, un po’ tenendoci per mano, e un po’ con un modo tutto loro di reagire e continuare a vivere.

Lupo Luca (scritto da me e illustrato da Febe Sillani per Bacchilega Junior) nella seconda delle sue avventure, colto da un moto di coscienza, vuole diventare un cittadino attivo e partecipe e va a fare il clown dottore in ospedale. Incontra piccoli animali malati, impauriti, frastornati ai quali strappa un sorriso con i suoi goffi comportamenti e la sua offerta di amicizia disinteressata.

Ma attenzione: non solo questo tipo di storie sono valide. «Leggere con leggerezza» libri cartonati e albi illustrati, dove le parole, poche e accompagnate ai tanti punti interrogativi, lasciano spazio e respiro alle illustrazioni, è un atto di gioco e d’amore che va ripetuto con cadenza rituale, per creare un abbraccio fatto di leve di crescita (sia cognitiva che emotiva) e di condivisione di storie e speranze, fatiche e paure.

Perché alla fine la storia è una sola: la certezza è che certezza non c’è, ma ce la faremo, in un modo o nell’altro.

E può darsi che al momento della prova i nostri bambini non ci domandino nemmeno un perché, ma vengano da noi con un termometro in mano, ordinandoci: «Ascella!» e sollevandoci il braccio per misurarci la febbre.

Perché hanno imparato a imparare. Perché probabilmente siamo stati capaci di raccontare quanto sia importante raccontare, ascoltare, condividere storie inventate ma anche storie vere.

Forse il problema non è il perché. E forse, alla fine, non è nemmeno il perché del perché. Forse il problema è la carenza di speranza, di pazienza, di tolleranza. La carenza di fede, di convivenza, di fratellanza. La carenza di creatività, di inventiva, di comunicazione. La carenza di carezze narrative.

Elisa Mazzoli

Precedenti puntate di #lettureperilweekend:

Dad sì o no? Il parere dell’insegnante e illustratrice Giorgia Atzeni

Insegnante al tempo del Covid, la testimonianza di Maria Beatrice Masella

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